martedì 10 dicembre 2013

Storia di un'emigrazione rimandata

Lo trovate anche su Frontiere News

“Lasciare la sicurezza di una vita tra precariato e disoccupazione per l’incerto di un futuro in un altro Paese fa paura, tanta paura. Perché anche se qui il presente e il prossimo futuro sono una merda, é sempre la tua merda. Totalmente assuefatta al suo odore non ti accorgi nemmeno di vivere avendola ben oltre il collo. Finché non arriva qualcuno che ti apre la finestra, ti fa vedere e sentire oltre te stessa. Una vita migliore, quei diritti prima negati ora diritti realmente auspicabili, un futuro per cui tornare a sognare. Ora non puoi più fare finta di nulla. Non puoi più tornare indietro. Si parte. Nuovi progetti. Nuova vita. Francesca in questi mesi sei sta fonte di ispirazione inesauribile. Sei stata una boccata di aria fresca come mai nella vita! Ecco, grazie!”

Qualche tempo fa ho ricevuto uno di “quei messaggi”, di quei messaggi che ti arrivano tra capo e collo e che ti danno la possibilità di sbirciare un po’ nell’immensità della vita di un’altra persona. 

Un messaggio arrivato inaspettatamente da parte di una persona che conosco poco, amicizia da social network e a dirla tutta neanche delle più interattive, amicizia di tante battaglie civili condivise, di qualche manifestazione in piazza. Persona che come me mesi fa, come tanti, come troppi ultimamente, decide di aprire la porta ed andarsene dall’Italia

Anche Claudia è decisa a provarci, “perché no” si dice? “Perché no”, le rispondo. Lei ha quasi quarant’anni e una laurea in Economia che da subito l’avvicinò al mondo dell’Altra Economia, con la voglia forte di contribuire in qualche modo al cambiamento e dopo esperienze non sempre positive di volontariato più o meno remunerato e sempre troppo simili ad un lavoro in nero, approdò in un emporio di commercio equosolidale, attività in cui si lanciò con entusiasmo e gioia, attività però che prevedeva un contratto a progetto che di equo e solidale aveva troppo poco, contratto che non le garantiva nemmeno il diritto di essere malata. Durante quest’esperienza inizia a farsi qualche domanda e inizia anche a fare qualche paragone: “Ho lavorato per un anno in una azienda informatica, quindi orientata esclusivamente al profitto, ed anche lì avevo un contratto a progetto, ma mai, sottolineo mai, mi è stato tolto un giorno di paga per malattia. E ad agosto avevo pure il mese pagato per intero, anche se l’azienda chiudeva quindici giorni per ferie. Qui (nell’emporio di commercio equosolidale) non solo non avevo le ferie, ma non avevo neppure diritto alla malattia”. 

Tutto quello in cui aveva creduto va in frantumi e i cocci sono tanti. E sono tutti i suoi.

Mi ritrovo invece a dover affrontare una delle delusioni più grandi della mia vita, perché ideologica. Non è un abbandono di un amore, non è la rottura di una amicizia. In fondo sai che può succedere e che questo non mette in discussione il valore assoluto dell’amore o dell’amicizia. O forse sì. Forse è proprio come la fine di una storia d’amore, perché non riesco a smettere di credere che il consumo critico e responsabile, il commercio equo e solidale, il voto di portafoglio, l’Altra Economia non possano non essere la via giusta per uscire da questo impasse.

E allora dopo anni passati tra promesse e precariato, attese, speranze spesso vane, delusioni, dolori, sogni infranti si parte, si sfrutta l’occasione per trasferirsi a Londra, imparare bene l’inglese che, le dicono, è fondamentale per lavorare nella Cooperazione. Si parte. Affitta la sua casetta e torna a vivere dai suoi genitori, mette in vendita la sua auto e spera di riuscire a partire per gennaio, che da dicembre c’è una stanza libera a casa di amici di amici quindi perché aspettare? La paura è tanta ma l’esasperazione anche.

La macchina del trasferimento, la stessa che anche io conosco così bene è accesa, quando una mattina, leggendo la sua posta elettronica trova una mail da parte del Ministero della Pubblica Istruzione che la convoca “pern° 1 posto, classe concorso 017, fino alla nomina dell’avente diritto.” E l’insegnamento 017 è proprio Economia aziendale. Claudia è in graduatoria di terza fascia, quindi quella che racchiude laureati non abilitati all’insegnamento ed è in quella fascia da due anni circa: non ci pensava proprio a questa eventualità, non ci sperava più. Trascorre la notte prima della convocazione in bianco, tra la speranza di essere chiamata e quella di non essere chiamata, in un limbo confuso in cui non sa nemmeno lei cosa volere e desiderare davvero.Una beffa del destino così spiazzerebbe chiunque.

Eppure se chiudo gli occhi e lascio fluire il pensiero, mi immagino con i ragazzi, in un’aula, seduta ad una cattedra, con un registro tra le mani. No no, io voglio partire. Però come sarebbe bello diventare professoressa. Non ci pensare, tanto si presenteranno in ottomila.”
Ed invece tocca proprio a lei: dopo anni di promesse e precariato, attese, speranze spesso vane, delusioni, dolori, sogni infranti è arrivato il suo momento. 
In una notte tutto è cambiato. 
Sarà una Prof., avrà il suo registo, i suoi ragazzi, la sua cattedra e il suo lavoro. Almeno per un anno, durata del suo incarico, sarà una Prof. poi si vedrà.

E quindi non parti più? Le chiedo. Per ora no, mi risponde. Mi spiega che si prenderà questa sorta di “acconto sul dovuto” ma che anche se il suo orticello cresce bene continua comunque a vedere il deserto che c’è intorno, questo Paese però le “deve” un’opportunità e lei ha tutta l’ intenzione di prendersela: “Non credevo più che questo Paese potesse restituirmi qualcosa quello che mi è successo non mi fa cambiare idea… sono sempre delusa, amareggiata… ed un figlio in Italia personalmente non ce lo farei crescere quindi volevo andarmene e non tornare.

Poi però di contro attacca con una bellissima descrizione del suo paese, della sua città e delle strade del quartiere che l’ha vista crescere e in cui ha giocato a nascondino: luoghi che ama e che soffrirebbe nel dover lasciare. Ma che, è chiara, lascerebbe comunque se le cose si mettessero di nuovo male e lo farebbe con dolore, certo, ma senza esitare. In un’eterno altalenante binomio. 

E come può il mio amore essere limpido, se è la mia nazione che lo inquina?!
Questa strofa non mi lascia mai, è nella mia testa durante tutta la nostra chiaccherata.
É un mantra. É un qualcosa che mi appartiene così intimamente che quasi a fatico a scriverne.
Come questa storia. La storia di Claudia e della sua emigrazione mancata o forse solo rimandata.

p.s. ho scoperto che mi piace raccontare. E non solo di me. :)


lunedì 25 novembre 2013

Inverni poco diplomatici



Qui pare che il famigerato freddo stia per arrivare.

Non so bene il perché ma io non ho mai avuto una passione per il meteo, non l'ho mai controllato, non ho mai pensato fosse importante sapere se farà freddo o farà caldo per pianificare qualcosa, per prendere una decisione o meno.
Eccezion fatta per la divertentissima neve a  Roma che ha rincoglionito un po' tutti come l'arrivo di un neonato in casa.
Ma per il resto, non me ne è mai fregato molto del meteo (e te credo sei sempre stata a Roma, direte voi. E c'avete ragione, c'avete) tanto che mi ha sempre colta impreparata.
Ma il primo inverno a Berlino cambierà tutto.


Perché se non hai ancora vissuto  il primo inverno a Berlino non puoi parlare, è come se avessi l'Anmeldung in standby, come se l'Aire aspettasse di vedere se tu sopravviverai, per accettare la tua iscrizione.


E a questo punto inizi a fremere, te lo vuoi togliere sto dente, vuoi che arrivi sto cavolo di primo inverno a Berlino, vuoi che arrivi come quando devi andare dal dentista e levamose sto pensiero.

Perché tutti parlano del primo inverno a Berlino pure quelli che qua ci sono stati solo ad agosto.
E comunque ti ritrovi un pomeriggio di novembre a passeggiare al lago, alle quattro di pomeriggio e trovi l'erba ghiacciata e pensi che ci sarà un motivo se è così famoso, il primo inverno a Berlino.
Io ho comprato i paraorecchie e mi sembra già un buon punto di partenza.



E niente, poi scrivo. 

E ultimamente ho scritto anche sapendo che sarei stata letta e non solo da voi amici, parenti, sventurati, coraggiosi, fedeli ma anche da gente che abitualmente legge blog seri.
Gente che ha letto volentieri della mia avventura a Berlino, della mia vita stravolta negli ultimi mesi, della mia felicità e del mio essere assolutamente convinta di aver fatto la cosa più giusta.

Gente che mi ha letta e che mi ha anche scritto, tanto. Lasciandomi stupita, felice. Facendosi conoscere e con l'intento di conoscermi o di chiedermi consigli che forse non sono -e mai sarò- in grado di dare.


E probabilmente continuerò anche a scrivere per essere letta da chiunque vorrà farlo, proverò a farmi leggere da sempre più persone perché mi piace.
E perché mi piacerebbe raccontarvi un sacco di cose, per esempio della mia amica Reut che viene da Israele e di altre persone italiane che vivono qui con più o meno difficoltà.

Insomma, se vi va, restate all'ascolto. 

Però vi devo dire una cosa: io non potrò mai diventare politicamente corretta, educata e a modino. Non avrò mai quei sorrisini di circostanza e una parola buona per tutti per paura di inimicarmi qualcuno.

Per esempio per lavoro devo essere tanto gentile e la cosa divertente è che per fortuna posso usare dei nick name.
Coi nick name sono buona e col mio vero nome sono un troll, ma com'è sta storia?

No io ve lo voglio dire, ci tengo, perché è bene che lo cose si mettano in chiaro da subito, se mi scappa da bestemmiare, mi scappa.
Se devo smerdare un blogger perché dopo aver cavalcato l'onda di Berlino, sputa nel piatto dove ha mangiato partecipando ad una trasmissione scempio nella quale a suon di luoghi comuni e stereotipi provinciali e miseri si affossa la città, io lo smerdo.
E poco mi importa che a leggermi siano mamma, zia o centinaia di persone. Per me è uguale.
Io scrivo come se non mi dovesse leggere nessuno. Io scrivo come se non ci fosse un domani.
E sarà sempre così.
Stiamoci.


Questo per dire che se da domani per questi ed altri motivi non mi leggerete più, il mio blog morirà felice. Morirà solo, ma leggero e felice.

Non avevo aperto il blog per scrivere niente di tutto ciò ma questo è uscito e questo ci teniamo.
Ed è tanto liberatorio. 




sabato 9 novembre 2013

9/11

Oggi è l'anniversario della caduta del Muro ed io dovrei essere ad East Side Gallery dove pare esserci una specie di manifestazione.
Oppure dovrei andare al Flash Mob.


Invece me ne starò qui a guardare Grey's Anatomy, a mangiare biscotti al cioccolato, a piangere e a parlarvi de L'Aquila.
L'Aquila, Abruzzo.
Ed anche se sono arrivata tardi (forse di un giorno), lo farò lo stesso.

Chi mi conosce sa quanto la tragedia de L'Aquila  mi abbia colpita nel profondo, tanto nel profondo che decisi da quasi subito di recarmi sul luogo, per vedere coi miei occhi.
Inizialmente restia, indecisa, spaventata all'idea di essere scambiata per una turista del macabro (o di sentirmi tale) ma poi convinta di quanto fosse necessario invece vedere coi proprio occhi quello che era accaduto.
E fu così che il terremoto mi crollò addosso con tutta la sua violenza: non la città, per mia fortuna. Ma il terremoto, tutto quello che era incredibilmente accaduto: finestre spalancate, armadi per strada, visi stanchi, gente senza casa, disperazione, strade silenziose, militari, buio.
E mi caddero addosso anche le cose belle: Casematte, la voglia di ripartire, di lottare, le manifestazioni, l'odore di camino.

Per mesi non pensai ad altro, seguii tutte le vicende, le seguii con attenzione. 
Perché fin dall'inizio ebbi la sensazione che l'Aquila altro non fosse che il nostro avamposto, il primo pezzo crollato, al quale ne sarebbero seguiti tanti altri, la nostra metafora.
Città tradita non dalla natura, ma dall'uomo: dal malaffare, dalla politica, dagli interessi.
Seguii ed aiutai, a modo mio. E in un modo poco utile forse ma l'unico che conoscevo ed ancora conosco: scrivendo. 

Qui  uno dei vari pezzi che scrissi ma sono certa che cercando "Addei L'Aquila" dai meandri di Google uscirà qualcosa, fatelo. 
Nel caso in cui ne abbiate voglia.

Non voglio raccontare ora, tutto quello che provai in quei giorni, anzi in quei mesi né voglio raccontare delle persone che incontrai.
E' tutto scritto, da qualche parte, basta cercare.
Nel caso in cui ne abbiate voglia.

Voglio raccontarvi invece delle coincidenze che non esistono e dei deliri di onnipotenza: due giorni fa Jacopo scrive un articolo su L'Aquila e mi cita, parte immediatamente il mio pensiero su quello che fu quel periodo e mi dico: "devo riprendere in mano le informazioni in merito, sto trascurando quest'argomento che tanto mi sta a cuore. Non mi piace."
Oggi vengo a sapere che una delle persone che conobbi in quei giorni e che tra le tante mi colpì per determinazione, sorriso, schiettezza, sana follia, voglia di lottare si è tolta la vita.

E non ho potuto non sentirmi, da brava egocentrica, in colpa.
Perché se gli aquilani sono stati abbandonati da tutti, dalle istituzioni immediatamente e poi anche dagli italiani stessi, mi rendo conto solo oggi di quanto siano stati abbandonati anche da me, con l'unica differenza che io inizialmente ho provato a stargli vicino.

Ed ora questa persona che mi sembrava meravigliosa non c'è più ed io se da un lato vorrei tacere per rispetto di chi ora starà soffrendo davvero, in quanto credo fermamente nella gerarchia del dolore, dall'altro però non posso non ricordare, non stupirmi, non soffrire per quello sguardo arguto, quella lingua lunga, quella voglia di combattere.
E pensare che, incredibilmente, non ci sono più. Non c'è più lui.

Non posso non ricordare come, durante un'accesa assemblea cittadina mi chiese di prendere il suo spazio per parlare.
E io, ospite in punta di piedi ma bisognosa di chiarire un punto di vista e specificare che qualcuno non stava dicendo la verità, lo feci.

Chi mi conosce sa anche quanto, per quanto sfacciata possa apparire, io in realtà mi vergogni come una ladra di parlare in pubblico, e così rossa come un vergognoso peperone, lo feci e lui mi guardò dandomi coraggio e quel pizzico di follia.
Dovevo farlo per loro, era l'unica -piccolissima- cosa che in quel momento potevo fare. 
E prendendo fiato lo feci. Dissi quella che in quel momento era la mia verità. Anzi LA verità.

Ecco, avevo solo un bisogno egoistico di tirare fuori questo ricordo.
Di stupirmi, di soffrire in barba alla gerarchia del dolore in cui fermamente credo.

Fabrizio, che tu possa avere pace, ora.

mercoledì 6 novembre 2013

Dal mobbing in Italia alla speranza tedesca.

http://frontierenews.it/2013/11/dal-mobbing-in-italia-alla-speranza-tedesca-storia-di-unitaliana-a-berlino/


Donna, italiana, 36 anni.

Un diploma in ragioneria mai utilizzato del quale non se ne capiscono bene le ragioni, una laurea in Psicologia mai raggiunta. Da sempre ho lavorato con i bambini: da baby sitter ad operatrice ludico-didattica nelle scuole dell’infanzia insegnando teatro.
Un lavoro meraviglioso, prezioso per il solo fatto di poter essere a contatto con i bambini che, nonostante fatica, capricci e arrabbiature, riescono a donare e a insegnare molto, sempre. A modo loro, certo.
Ma gli aspetti positivi e meravigliosi di questo lavoro dopo qualche anno sono stati surclassati daun eterno contratto a progetto che non permetteva un giorno di febbre e dalle incomprensioni con “i grandi”. Ma c’era e andava tenuto stretto.

Accanto a me un uomo che si è sempre districato nelle cucine romane come cuoco. Più o meno soddisfatto, più o meno retribuito ma sempre con contratti sicuri. Poi, tre anni fa, arrivano 7 punti su un dito, il diritto esercitato di mettersi in malattia e la reazione del proprietario del noto e fighetto ristorante romano: due settimane di mobbing ed un licenziamento per esubero di personale. Facile, no?
Gli anni che seguirono ci misero a dura prova e nel frattempo facemmo la conoscenza di Berlino: nuova e vecchissima, un cantiere a cielo aperto, una possibilità, una città terribilmente affascinante. Ammiccante e fredda al tempo stesso, difficile resisterle.
Ma due anni fa non ero ancora pronta e non lo rimpiango.
Non volevo lasciare amici e famiglia e non volevo abbandonare il campo già martoriato ma non ancora completamente abbandonato di quello che era in quegli anni la politica italiana e dove ancora volevo provare a muovermi. Senza vicinanze con nessun partito né ambizioni in quel senso ma spinta dal solo cuore, dalla voglia di civiltà, dall’odio per le ingiustizie alle quali siamo in gran parte assuefatti, istinti primari che mi tenevano sempre con un piede tra piazze e movimenti.
Ma poi, la lotta divenne personale: giornate intere passate a cercare di resistere continuando a fare un lavoro che era diventato frustrante e difficile, un affitto di 1000 euro, condominio escluso, nella periferia Sud-Est di Roma, un marito disoccupato o comunque altalenante, giornate buttate in mezzo al traffico e giorni tutti uguali in cui si aspetta solo che sia sera per trovare rifugio sul divano, lasciando la città che ci rende schiavi e che non riusciamo più ad amare, fuori dalla porta.

E allora, cosa te ne fai di amici e famiglia se tutto quello che riesci a dare loro è senso di sconforto, malcontento, problemi? Forse altrove è possibile.
 Forse altrove può essere migliore. Forse, mi sono detta, dovrei scegliere la qualità del tempo trascorso insieme piuttosto che la quantità. E così abbiamo mollato casa e lavoro (solo il mio, a quel punto) ed organizzato tutto in qualche mese.

Cosa avevamo di certo? I nostri cani, naturalmente. Una macchina per affrontare il viaggio dato che rinchiuderli nella stiva di un aereo non era nostra intenzione, un furgone noleggiato per portare con noi libri, cd, suppellettili, un pezzo di casa insomma, un magazzino dove tenere tutto ciò prenotato per due mesi e una casa-vacanze, più costosa certamente ma per avere la quale non ci hanno fatto nessun tipo di problema, anch’essa prenotata per due mesi.
Due mesi durante i quali, eravamo certi, ci saremmo sistemati. Di mesi ne sono passati quattro, alcune cose non sono andate come avevamo previsto e tra queste, la maggior parte sono andate molto meglio. Mio marito in due giorni e al primo colloquio effettivamente sostenuto (perché al  primo appuntamento per un colloquio di lavoro la proprietaria, italiana, gli ha dato buca) ha trovato un lavoro in un ristorante tedesco. Contratto regolare, paga non alta ma buona, quanto meno per iniziare e considerando che non parla ancora tedesco.
Io invece, come da progetti, mi sono iscritta a scuola: seguo un corso intensivo di tedesco cinque ore al giorno per cinque giorni la settimana. La scuola è la Vhs la più popolare, economica, amata ed odiata scuola tedesca.
Il corso al quale sono iscritta è di integrazione e la differenza è solo nel costo: pago 120 euro al mese invece che 150 e dopo sei mesi, raggiunto cioè il livello B1 si sostiene l’esame, superato il quale ci verrà restituito la metà di quanto pagato. La possibilità di dedicarmi solo allo studio della lingua, di poter aspettare un po’ per cercare un lavoro mi rende felice.

Sto realizzando quello che non ho mai potuto fare in Italia e cioé stare un periodo senza lavorare per fare qualcosa per me, per investire, per provarci, per migliorarmi.
Nel frattempo mi godo lo stupore di scendere con il tram tutte le mattine ad Alexander Platz, mi godo la funzionalità dei mezzi di trasporto, le nuove amicizie, angoli più o meno conosciuti che giorno dopo giorno diventano familiari e no, non lo avresti detto mai.
Tutti i giorni penso all’amore che ancora vive in Italia: famiglia, amici, mi mancano sempre. Mi manca un pezzo. Ma di certo, sono più felice ora pur senza un pezzo, di prima quando quel pezzo ce l’avevo e non potevo goderne.
Quello che di certo è cambiato è la sensazione che ho, appena sveglia la mattina, di avere la possibilità di fare qualcosa.
Qualcosa per me, qualcosa che mi piace, qualcosa che forse non mi riuscirà ma posso provare. Quello che non potevo più fare in Italia.

domenica 3 novembre 2013

Arrivederci Roma, Berlino chiama. (un'intervista per Italiansinfuga)

http://www.italiansinfuga.com/2013/11/03/arrivederci-roma-berlino-chiama/


Cosa facevate in Italia?

Io: un diploma di Ragioneria mai utilizzato e del quale ancora fatico a capirne le ragioni dell’esistenza.
Una laurea in Psicologia mai conseguita, un lavoro svolto sempre nell’ambito dell’infanzia: da baby sitter ad operatrice di ludoteca, ad operatrice nei centri estivi, poi coordinatrice sempre negli stessi.
Negli ultimi 6 anni operatrice teatrale nelle Scuole d’Infanzia, un lavoro bellissimo e molto faticoso divenuto quasi impossibile a cause delle enormi distanze che c’erano tra una scuola e l’altra a Roma, nella città in cui ho sempre vissuto e lavorato, e di conseguenza l’enorme spesa per la benzina che ultimamente ha toccato prezzi proibitivi e l’assoluta necessità di avere un’automobile per trasportare ogni giorno tantissimo materiale.
Lavoro che ho lasciato con dispiacere per l’enorme fortuna di poter lavorare con i bambini e con un grandissimo sospiro di sollievo pensando a tutto il resto.
Poi c’è mio marito, uno di quei diplomi che non ti penti di aver conseguito e che da subito ti dà lavoro: istituto alberghiero.
Anni di sicuro ed onesto lavoro nelle cucine romane quando tre anni fa un incidente sul lavoro (7 punti ad un dito), la legittima decisione di usufruire del diritto di essere in malattia e la reazione del proprietario del locale che non gradendo questa scelta, dopo settimane di mobbing gli presenta una lettera di licenziamento per “esubero di personale”.
Gli anni che seguirono furono, per lui, una continua ricerca di un posto dignitoso e per me, continui tentativi di sopravvivere a contratti a progetto e ad un senso di profonda frustrazione.
Tentativi che, evidentemente, hanno avuto scarsi risultati.
Perché l’idea di partire e perché Berlino?
Eravamo già stati a Berlino due volte perché il fratello di Andrea ha vissuto lì per un anno e mezzo ed ora è da un anno e mezzo a Brema, rimanendo quindi in Germania.
Affascinati, colpiti, innamorati da questa capitale europea così versatile e diversa da tutto quello che avevamo avuto modo di visitare o vivere fino a quel momento.
E così, quasi per scherzo progetti, idee, pensa se un giorno ci veniamo a vivere davvero… ma gli affetti mi tenevano fermamente ancorata a Roma.
E non solo loro, dopo anni di attivismo politico, senza aver mai militato in un partito ma nonostante questo cercando ogni giorno di capire, combattere, provare a cambiare qualcosa, con le piazze, i movimenti, le contestazioni, l’idea di abbandonare il campo, mi faceva star male.
Ma ormai rimanere in Italia era diventata una sofferenza quotidiana, una lotta quotidiana per la sopravvivenza.
E cosa te ne fai della vicinanza fisica con amici e famiglia quando sei talmente svuotato da non poter dare loro niente di bello?
Abbiamo scelto di provare, abbiamo puntato alla qualità del tempo da trascorrere insieme, piuttosto che alla quantità.
Come state facendo per imparare il Tedesco? Quanto è difficile?
Per ora Andrea non lo sta studiando, lavora in un ristorante in Potsdamer Platz dove tutti parlano anche inglese, se come sembra in inverno il lavoro calerà un po’ ne approfitterà per seguire anche lui un corso.
Io invece seguo un corso intensivo alla Vhs Volkshochschule, la più famosa, conosciuta, popolare ed anche criticata scuola di lingue tedesca.
Il mio corso è strutturato in 5 incontri la settimana, ognuno della durata di quasi 5 ore, una vera e propria scuola che, a mio avviso, può frequentare solo chi non ha un lavoro di molte ore, vista la mole di lavoro che c’è da fare anche a casa.
In 6 mesi si raggiunge il livello di B1 che è il requisito minimo per accedere a qualsiasi posto di lavoro ed anche per iscriversi ad un Ausbildung (un corso di formazione lavorativa) che, probabilmente è quello che vorrò fare dopo.
Con il corso integrativo che sto seguendo io e che al quale possono accedere i cittadini europei, alla fine dei 6 mesi di scuola si sostiene l’esame di livello, superato il quale si riavrà indietro la metà di quanto pagato fino a quel momento e cioè 120 euro al mese, 30 euro in meno rispetto ai 150 al mese che si pagano normalmente.
É difficile? Sì, il tedesco è indiscutibilmente difficile. Ma anche affascinante, ricco, chiaro, per assurdo. Una lingua che difficilmente permette fraintendimenti. Una lingua che non vedo l’ora di poter utilizzare al meglio e che probabilmente necessità di passione per essere conquistata.
Che lavori avete trovato? Quando è stato difficile?
Il nostro piano era trovare subito un lavoro per Andrea, speravamo che come cuoco avesse più possibilità e così è stato.
Con un annuncio messo su Ebay dall’Italia, ha trovato lavoro due giorni dopo il nostro arrivo, lo hanno aspettato, lo hanno voluto, proprio come dovrebbe essere in un mondo giusto.
Ristorante tedesco, contratto regolare. Dopo due anni di tormenti patiti a casa.
Io invece, come da piano, sto dando la priorità allo studio della lingua che, per tutti i lavori che ho sempre svolto e per predisposizione caratteriale, mi è assolutamente indispensabile: non potrei mai pensare di vivere in un posto dove la gente che parla sul bus emette dei borbottii indefiniti.
Per ora arrotondo, ma davvero raramente, con delle pulizie retribuite 12,50 nette l’ora.
Quali sono state le difficoltà emotive dei primi tempi? Come le avete superate?
La prima volta che ho pianto è stato quando mio padre, che insieme a zio ci ha accompagnati in quello che chiamammo il viaggio della speranza, tornò a Roma.
Uno sguardo, una lacrima scorta all’angolo dell’occhio, un occhiale da sole inopportuno indossato solo per difesa, un bacio sulla guancia e via…noi siamo così di famiglia, non ci piacciono i saluti. Ci distruggono anzi.
Non appena si è chiusa la porta mi sono pianta tutte le lacrime che tenevo qui, lacrime di stupore per il passo che davvero avevamo fatto, lacrime di paura per quello che ci stava aspettando, di gioia per avercela fatta.
Lacrime e lacrime.
Ed è stato bello, piangermele tutte.
Ogni giorno è come se mi mancasse una parte ma ogni giorno mi sveglio più felice e serena di quando quella parte era con me.
Si supera pianificando le visite, contando i giorni che mancano al prossimo aereo che ci porterà qui un pezzo di cuore.
Si supera coccolando gli amati cani che sono venuti, naturalmente e non senza difficoltà, con noi.
Si supera scrivendo tanto ed anche tenendo un blog www.berlinochiama.blogspot.it
Primo bilancio del vostro trasferimento?
Assolutamente positivo.
Economicamente parlando stiamo vivendo con un lavoro solo quando fino a giugno, a Roma, sopravvivevamo con due.
Siamo in una città piena di vita, che trasuda storia da ogni centimetro. Un cantiere a cielo aperto, un laboratorio immenso per sperimentare qualsiasi cosa si abbia voglia.
Ci sentiamo gratificati, degni, meritevoli, accolti e compresi.
Abbiamo davanti lo spettro del duro inverno da affrontare ma ci sentiamo assolutamente preparati.
Sono consapevole che Berlino non sia il paradiso, la disoccupazione aumenta, trovare un alloggio è molto difficile.
So anche di persone che ci hanno provato senza farcela così come invece so di persone felicissime e che si sentono molto realizzate ma questo fa parte della vita, immagino.
Che sentimenti provate verso l’Italia?
Sarebbe facile rispondere rancore ma purtroppo non sarebbe neanche così lontano dalla realtà.
Una politica che ho sempre amato verso la quale non riesco più a guardare se non provando dolore.
E non solo nei confronti di chi ha ridotto il paese in quelle condizioni ma anche nei confronti del nuovo che è avanzato per citare un vecchio adagio e che ha ricalcato perfettamente i modelli di quel vecchio che tanto diceva di voler combattere.
Pensare alla politica e alla situazione italiana in generale è sentirsi in un vicolo cielo, è sentirsi soffocare.
É chiedersi, come ho fatto a sopravvivere lì così a lungo?

martedì 29 ottobre 2013

oder...?

"Malinconia per qualcosa che non si é mai vissuto", se esiste una lingua con una parola per   un concetto del genere, questa é di certo il tedesco.
La troveró, ne sono certa. Tra non molto ritroveró questo termine che cosí fedelmente mi ritrae.

Mi manca qualcosa che non ho mai avuto, mi manca da sempre e a questo punto, credo, sará cosí per sempre. Mentre blataero di altre vite e nel frattempo mi gusto questa, di vita, meravigliosa certo ma solo una.
In cui é impossibile far stare tutto.
Peró anche Mitdenker mi rappresenta bene, colui il quale é capace di immedesimarsi nei pensieri e desideri altrui.

Questo é il motivo per cui da quando vivo qui e, come ormai naturale conseguenza, ne scrivo su Facebook o qui sul blog, le amicizie sull'unico social network che frequento abitualmente sono aumentate vertiginosamente.
Ricevo almeno 10 richieste di aiuto al giorno.
Che aiuto?! Aiuto a scappare dall'Italia.

Anche io, non appena presa la decisione ho scritto a qualche persona che viveva giá qui ma escludendo un paio di persone gentili e disponibili, ho ricevuto solo sconsigli e catastrofici avvertimenti.
Molto spesso non ho ricevuto nessuna risposta e quest'ultima eventualitá inizio a comprenderla: é praticamente impossibile rispondere a tutte le richieste. Sarebbe una specie di lavoro.

Con un po' di tedesco e una buona conoscenza della burocrazia berlinese questo potrebbe davvero diventare un buon lavoro ma difficilmente riuscirei a farmi pagare per dare un aiuto. Cosí é.

Ho ripreso la macchina fotografica in mano, stupendomi per una luce e dei colori tanto diversi ed ho fotografato un bosco, Grunewald, e un lago.
Respirando a fondo e guardandomi intorno, insieme a due persone che, in un modo o nell'altro giá so che mi mancheranno.

Fa buio adesso e so di aver appena perso un Sonnenuntergang e cioé un tramonto, bellissimo.
Ma non si puó essere ovunque o comunque non si puó esserlo sempre.

lunedì 21 ottobre 2013

Un sabato d'ottobre in cui sono lontana.

Sabato scorso, per la prima volta, mi é mancata Roma.

E con Roma  non intendo le persone che ho lasciato lí, famiglia, sorella, amici perché quelli mi mancano ogni secondo. Ad ogni respiro.
Respiro che  si spezza quando ci penso o che  semplicemente mi accompagna come un costante brusio di sottofondo quando sono impegnata a fare e pensare ad altro.
E succede, volutamente, spesso.


Sabato mi é mancata proprio Roma e con Roma intendo la cittá.
Roma di sabato per l'esattezza: il fermento, i messaggi, l'appuntamento, il solito da una vita: ci vediamo alle 14,30 a Piazza della Repubblica.

E poi tutto quello che sappiamo, no?! I quotidiani illeggibili in mano, qualcuno con le bandiere, non noi. Noi siamo cani sciolti, da una vita.
La stampa, la piazza che si riempie. Tutti ai posti di partenza.

Parte il corteo, che facciamo aspettiamo un po' o andiamo?!

Andiamo va. 

Gli appuntamenti, i ritardatari, gli amici, i volti piú o meno noti. Partono i cori, quelle corsette odiose, non si corre per gioco, si corre solo se serve.

E poi, puntualmente l'aria si fa tesa.
Qualche fumogeno, quando va male parte un lancio di qualsiasi cosa e non solo, quando va bene solo gente che urla non correte, non correte  e per quanto tu sappia che hanno ragione, l'unica cosa che vorresti fare é proprio scappare.


E poi, quella sensazione di vita che scorre: sui volti tesi, impauriti, o solo felici. Adrenalina che si taglia col coltello tanto é densa.
Foto, foto, foto facendo attenzione a non ritrarre troppo chiaramente i volti, che non si sa mai.
I giornalisti che puntualmente inventano scontri anche quando non ce ne sono stati e lo fanno con il  solo fine di demonizzarli.
Stavolta pare essersi formato un movimento (un altro?!) che é in sit in a Porta Pia da due giorni.
Spero non faccia la fine degli Indignados di Santa  Croce in Gerusalemme, che volevano fare l'orto nelle aiuole della piazza e passavano ore per decidere chi doveva tenere il corso d'astrologia.
Manco fossero in autogestione.

Mi sono sempre chiesta chi abbia deciso che debba essere l'autunno ad essere caldo, certo ricominciano le scuole, ci si risveglia dal torpore estivo.
Ma si riesce a cadere nel torpore quando si é davvero disperati?!

Da qui, cosa che ho provato nel vedervi sfilare?!
Da un lato un grande senso di colpa. Come se vi avessi tradito, uno per uno, salvandomi.
Dall'altro la sensazione che le manifestazioni riuscite, come quella di sabato scorso altro non siano che (inutili) boccate d'ossigeno ad un paese al quale forse andrebbe solo staccata la  spina.

giovedì 10 ottobre 2013

Secondo lavoro a Berlin.

No, scherzo. Uhahuauhaauhuha
Cioé non scherzo ma non intendo creare un maniacale elenco di tutte le prime o seconde volte a Berlino.
State sereni e continuate pure a leggere.

È che quel lavoro nell'Hotel Leonardo non l'ho accettato: oggettivamente troppo pochi 2,50 a stanza e troppo poco umana la concezione di lavoro a cottimo, piú fai piú guadagni e la pausa pranzo la puoi pure fare ma mezz'ora é una stanza in meno che fai.

E sti cazzi! (alla milanese) Va bene che il lavoro nobilita ma la palla al piede no.

E cosí, chiedo ad un contatto facebook sulla mia stessa barca ed ecco che esce Cleanberlin.

Scrivo.
Rispondono.

Vado all'appuntamento in un posto fighissimo vicino East Side Gallery e pure se stai lí per fare le pulizie ti fanno sentire come se stessi lí per un posto da ingegnere.

Non c'é la sensazione stai qui senza sapere una parola di tedesco e stai elemosinando un posto per pulire le case di noi ricchi berlinesi, ma non ti vergogni?! 
Non c'é l'atteggiamento che per anni, in Italia, ho visto riservare a donne rumene o polacche.

É lavoro. Punto. E probabilmente in Italia per un posto da supercazzutohostudiatoventanniperquesto (ipotizzo) ti fanno sentire come uno che sta cercando di fregare lo stipendio
(per lo stipendio poi vedremo).

E invece...un caffè, una spiegazione chiara in inglese ed in tedesco con un'altra ragazza lí presente se eventualmente avessi avuto bisogno dello spagnolo!
E tutto questo solo per me perché di quattro che hanno chiamato sono l'unica ad essersi  presentata.
Poi dicono che a Berlino non c'è lavoro, vabbé.

Ma di cosa si tratta?! É una sorta di agenzia per donne delle pulizie organizzata tramite un accout gmail, attraverso il quale arrivano inviti di lavoro.
Chi, dove e quante ore. Se ti va bene ja, accetti altrimenti nein e qualcun'altra andrá al posto tuo.
Senza vincoli né problemi.
Per i primi due giorni che rappresentano una prova puoi solo accettare o meno le proposte dell'agenzia e la paga sará 8 euro nette l'ora su 15 lorde che il cliente paga.
Superato il test si ha accesso al calendario completo di tutti gli appuntamenti dove si potrá vedere prima la zona, poi tutti i dettagli ed infine accettare o meno. E la paga sará di 12,50 l'ora.

Se a fine anno si sará superata una soglia di guadagno (rilasciamo ricevute) si pagheranno le tasse attraverso un modulo che tra due mesi andrá acquistato al Comune per 26 euro.

Ora i contro: essendo una sorta di libera professione non si ha diritto all'assicurazione sanitaria che qui, sappiamo, essere privata e parecchio costosa.
Ma io sono fortunata perchè sono assicurata con quella di Andrea e la cosa piú sorprendente é questo io sono fortunata, affermazione che nella mia vita di prima era utilizzata esclusivamente con riferimento agli affetti, qui no.
Qui sono fortunata anche per una di quelle odiose pratiche di vita quotidiana che prima mi toglievano il sonno.


Ieri sono andata per la prima volta: due ore un mega ufficio al centro, un loft da 200 forse piú mq pieno di ragazzi biondissimi e gentilissimi che lavoravano a qualcosa di creativo nel loro attrezzato ufficio con tanto di doccia e cucina ultima generazione.
Etá media?! 27 anni, credo.
Vedremo come andrá, per ora mi sembra proprio perfetto per le mie esigenze.

Detto questo, le vacanze d'autunno sono agli sgoccioli, lunedí si torna a scuola e martedí ci aspetta un test di livello per passare da A1 ad A2 niente che possa fermare il proseguire della frequentazione ma insomma, pur sempre una valutazione, pur sempre un qualcosa che mi metterá di fronte, spero, ai miei miglioramenti o, spero di no, al mio essermi sopravvalutata.

Non riusciamo ancora ad avere una connessione a casa, ecco. Quindi sono in astinenza da serie tv, Skype, video ecc.
Ma mica puó andare sempre tutto bene, no?!

domenica 29 settembre 2013

Primo lavoro a Berlin.

Che poi quella telefonata l'ho fatta.
Quella per il lavoro: col foglietto davanti e quattro frasi preparate e la speranza di capire quello che mi sarebbe stato risposto dall'altra parte del telefono.
L'ho fatta durante la pausa caffè a scuola con qualche adorabile stronzo dei miei compagni di classe (spero nuovi amici) che mi prendeva in giro per qualche accento messo male e per la mia proverbiale gambetta balleria ed agitata.

L'ho fatta ed ho ottenuto un appuntamento per il giorno stesso.
Ed una prova da lì a due giorni.

E che soddisfazione il solo fatto di esserci riuscita.

Certo, non sarà certo il massimo che offre la piazza pulire a cottimo stanze di albergo: più stanze fai e più guadagni ma l'ambiente sembra piacevole, la gente simpatica e poi è un modo per parlare tedesco fuori dalle mura di scuola.


Mi do ancora qualche giorno per capire se e come aumentare il numero di stanze fatte in un'ora perché altrimenti, ovvio, il gioco non vale la candela.
Ma per ora e per un po' sarò in ballo e quindi ballerò.


Stanze in cui entri e ti arriva prepotentemente contro l'odore di chi ne è appena uscito, odore a volte piacevole, a volte meno.
Odore denso di respiri, di vestiti sporchi, di lenzuola stropicciate.
Oggi è stata la volta dei salutisti: barrette, scarpe da ginnastica, tute, integratori e poi, casualmente dietro alla tv, un pacco di cioccolatini.
Frutta e pasta integrale. Giornata di maratona a Berlino e quindi anche nell'albergo. 
Perché l'albergo è vicino ad Alexander Platz e Berlino per i turisti è Alexander Platz.


Mi piace? Sì, mi piace vedere il mio Chef che piega il piumone in quel modo delizioso ed il letto dopo è bellissimo. E lui è iraniano oltre ad essere giovanissimo ed un anno fa non aveva idea di come si pulisse una stanza ed ora è perfetto.

E gli origami con la carta igienica.
E gli asciugamani piegati tutti nello stesso modo.

E gli aggeggi per lucidarsi le scarpe ad ogni piano.

Inutile dire quanto siano apprezzate due parole in tedesco, quanto gli faccia piacere vedere la buona volontà di imparare questa difficile lingua. 

Sono stanca, finalmente dopo tre mesi sono di nuovo stanca fisicamente.
Che strana perversione è quella che mi rende felice di essere stanca fisicamente?





martedì 24 settembre 2013

Pioggia nebulizzata.

Avete presente Berlino?
Avete presente il suo Muro?
 Quello che è stato buttato giù ma ancora c'è, invisibile, e percorre in quel modo strano tutto la città?
Avete presente la "striscia della morte"? Quel pezzo di terra che non era né di qua né di là ma che se venivi sorpreso lì c'erano i fucili a sparare?
Ecco in una di quelle strisce della morte, a Mitte, c'è oggi il Mauer Park.
Il più grande? Non so, forse...di certo il più figo (almeno credo) Flohmarkt (mercato delle pulci) di Berlino.

Ci si trova di tutto: cibi, scarpe, vestiti, biciclette, suppellettili. E poi gente che suona ed un grande e partecipatissimo karaoke. E la cosa più figa è che chiunque può andare a vendere quello che vuole.
E allora ci abbiamo provato, io e una mia compagna di corso abbiamo preso un po' di cose che non indossiamo più o di cui vogliamo disfarci, collane e borse fatte a mano da lei, un tavolo, due sedie e siamo andate.
Ci siamo trovate un posticino e abbiamo iniziato a sistemare tutto, poi è arrivata una signora e ci ha chiesto i soldi: 8 euro al mq, abbiamo pagato e fine.

 Zero domande.
 Zero carte.
Zero permessi. La semplicità.


 Al di la di questo, la scuola prosegue a ritmo serrato. E a metá ottobre dovró sostenere un esame per passare dal livello A1 al livello A2, e mi sembra anche giusto dato che alla fine del corso superato l'esame, mi verrá restituitá la metá di quanto pagato fin'ora.


Mi piace, questa lingua complicata. Mi piace questo suono che diventa ogni giorno piú familiare, mi piace contare le parole che riesco a capire ascoltando le persone sul tram e notare che sono sempre di piú, ogni giorno di piú.


 Sul social network piú famoso del mondo mi é stata mossa una critica: racconto troppo di me e, probabilmente, con toni troppotroppo entusiastici ma d'altra parte, se uno ha tanto da raccontare perché non farlo?! C'é sempre l'opzione "non leggere" ma mi rendo conto che deve essere una tentazione irresistibile, quella di sbirciare nelle vite delle persone per poter trovare quel "qualcosa che non va", utile a farci sentire meglio.

Argomenti tristi questi, di poco peso rispetto all'enormitá dell'esperienza che sto vivendo, ma del resto sará la superficialitá a salvarmi.

 Ah, sto cercando un lavoretto, tipo pulire stanze d'albergo, roba da due giorni a settimana mentre finisco il corso di tedesco. Ed ho un discorsetto scritto a penna pronto per quando questa tipa si deciderá a rispondermi al telefono.

 Perché no?!

domenica 8 settembre 2013

Sogno di una notte di fine estate.

I ricordi che ho sono sbiaditi ma tutti gradevoli.
Un prato, gente rilassata, arietta fresca sulle braccia ancora nude.
Volti amichevoli, tra i tanti amici veri: mia sorella, la sua amica, il di lei fidanzato.
Senza starmi a dare troppe spiegazioni mi propone un gioco, un'esperienza e io non trovo motivi per dirgli di no.
Sarai cosciente ma non consapevole o consapevole ma non cosciente, non mi ricordo, vedrai e sentirai tutto ma non riuscirai ad impedire che tutto accada. Sarai lì ma naturalmente anche altrove e ti piacerà.
Mi ricorda tanto uno di quegli scherzetti che, tempo fa, mi tirava il sonno.

Ronzio, ronzio, ronzio. Paralisi. Voglio svegliarmi ma non ci riesco, tutto intorno a me prosegue e io sono prigioniera del mio sonno. Sveglia.
Nessun pericolo di vita imminente ma la sensazione di non essere padrona delle mie azioni, del mio sonno e della mia veglia, del mio corpo.

E siccome ad un certo punto ho imparato a riconoscere le avvisaglie dello scherzetto e a rimandarlo, evitarlo, fino a farlo sparire ecco che ora un po'mi manca e questa cosa che mi sta proponendo S. mi ricorda il mio vecchio gioco di gioventù.

Vai, sono pronta: S. prende una siringa e mi inietta il contenuto nel collo. Dall'odore sembra alcool puro, penso un attimo prima di andare. La partenza è immediata e l'effetto è quello temuto, desiderato, voluto: sono lì, vedo tutto, mi accorgo che mi stanno stendendo a terra ma non posso fare -nè probabilmente voglio- nulla.


Ora io non so dove abbia trascorso quei minuti, quale universo abbia esplorato, quale vita parallela sia andata a vivere, chi di voi abbia incontrato e sotto quali forme, cosa sia andata a sistemare e perchè. Se ci sia davvero riuscita. Quanto tempo abbia vissuto di la. Perchè quelli che di qua possono essere venti minuti, di la, si sa che possono essere venti anni.

Esattamente come l'Olivia di Fringe riemergo respirando forte. Come se avessi trattenuto il fiato. Sono tornata, posso svegliarmi.

sabato 7 settembre 2013

La routine.

E così pare davvero essere questa la mia routine.

Almeno sarà questa fino a che non inizio a lavorare e non che io non voglia lavorare, sia chiaro, solo che sto studiando molto intensamente e per UNA volta, UNA, voglio provare a fare UNA cosa alla volta, UNA. 
Perché è proprio questa la vera differenza tra prima e adesso. Tra qui e . Che qui posso permettermelo. 

Quindi, dicevamo, questa è la mia routine e mi piace tanto ed è abbastanza evidente: mercoledì ho finito il corso A1.1 e mi è sembrata una grossa vittoria, 100 ore in cui ho parlato, ascoltato, letto soltanto in tedesco cosa che solo un mese fa non avrei mai pensato possibile. Due giorni di stop e da lunedì si ricomincia con A1.2 e non sto nella pelle. 
Che se avessi studiato con tanta passione al momento giusto, adesso avrei quattro lauree e una cattedra all' Università. Non italiana probabilmente.

E poi il parco con le nuove amiche, una bottiglia di vino e raccontarsi di com'è la vita in Israele che fino a che non hai fatto il militare sei proprietà dello Stato e non sei una persona libera e mentre ti racconti in una strana lingua che non sai nemmeno tu bene quale sia, ti soffermi a sorridere davanti allo spettacolo di 5 bambinetti scalzi&biondi che ballano al ritmo di percussioni suonate da uomini con cani che raccolgono vuoti a redere che in Italia sarebbero meglio conosciuti come barboni o, se proprio sei tollerante&figo, punkabbestia.
E i genitori dei biondi&scalzi stanno lì e ballano pure loro e sorridono e sono tutti felici e con quell'aria assolutamente normale e distesa.

Proprio come il settantenne tuttonudo al lago che nessuno ha guardato per più di due secondi né tantomeno con aria infastidita e/o imbarazzata.
E io, arrossendo un po', non sono riuscita a non guardarlo di sottecchi e con un po' di imbarazzo, un paio di volte. 

IO, cittadina del Mondo. IO, donna libera. IO, che alla fine sempre all'ombra der Cuppolone sono nata e di uomini nudi al parco ne ho visti ben pochi. Diciamocelo.

E  poi la discoteca in cui il buttafuori ti chiede i documenti e tu perplessa gli chiedi: "cosa?!?!! Ma ho TRENTASEIANNI!" che documenti?! E alla fine glieli dai e gli vuoi pure un po' di bene, per quella botta di autostima.

E lo spicchio di sole delle 19 al parco di Rosenthaler e in tutti, tutti i parchi, in cui ci si fa più vicini per goderne, di quei raggi, fino alla fine.

Il macho turco che posso aiutarti? ad aprire la bottiglia di vino intende, e tu, in tedesco no, grazie è facile, e lui, no, non è facile e si mette, poverino, ad armeggiare con un cavatappi su un tappo che - come avevo ben visto e appositamente scelto- è a vite. E cosa avreste fatto voi?
Io l'ho lasciato fare e credere, voltando lo sguardo dall'altra parte, per evitare di vederlo affannato ed in difficoltà nel rendersi conto di aver fatto una cazzata.
E alla fine, quando l'ha svitato l'ho guardato di nuovo, ringraziandolo, per giunta. 
Soprattutto dello spettacolo divertente.

Il tram alle dieci di sera che sembravano un po' le otto e un po' le quattro di mattina.

La sensazione di avere tutto tra le mani. Tutto quello che l'Italia mi stava, giorno dopo giorno, in modo quasi impercettibile togliendo.
Perché quando torni a respirare a bocca aperta, ti rendi conto di quanto tempo sei stata in apnea. E di quanto fossi pericolosamente vicina al diventare cianotica.

 





domenica 1 settembre 2013

Frustrazioni linguistiche ed un Erasmus 10 anni dopo.

Quaderni, foglie quasi gialle, calendari, diari, foto da stampare dell'estate, no questo forse  solo anni fa.
 Programmi, corsi, buoni propositi, Capodanno insomma.
Settembre è sempre stato Capodanno per me.
Nella mia precedente vita però. Non ora, non qui (cit.)
Qui è tutto in corso d'opera, qui è quasi autunno, vado a scuola da un mese e tra tre giorni finirà il primo modulo ed inizierà il secondo, ci sono ancora belle giornate ma intervallate da giorni come quello di oggi in cui nuvole e vento ti danno la percezione di quello che succederà per i prossimi, lunghi, mesi.

E per ora l'unico dispiacere è la bicicletta, con la quale sto facendo pace e che mi piace da morire: l'idea di unire un mezzo di trasporto ad un'attività fisica mi esalta.
E fino a che il tempo me lo permetterà, ne approfitterò.

Nella mia vita precedente, domani sarebbe con molta probabilità il primo giorno di lavoro, una ludoteca o dei giorni trascorsi a pubblicizzare i laboratori di teatro, tra il traffico che si chiama sono tornati tutti e un acquazzone che odora ancora di estate. E invece domani m i  aspetta una nuova scuola, con lo stesso gruppo già formato e molto affiatato e le insegnanti fantastiche.
Gruppo di tutte le età e nazionalità nel quale, come è ovvio, si è formato un sottogruppo di persone più affini per età, gusti, voglia di fare nuove amicizie e magari rilassarsi dopo scuola bevendo qualcosa o fumando una sigaretta.
E nel confortevole mezzo di questo gruppo di persone c'è un bel posto pure per me, che mi sembra di conoscerli da tempo, che mi sembra di conoscere le loro paure, i loro desideri, perplessità.
Che mi sembra di conoscere la loro voglia di comunicare, capirsi, raccontarsi, vivendo questo strano periodo in cui siamo adulti ma, per qualche strano motivo, possiamo prenderci il lusso di vivere come ragazzini.

Ognuno con le proprie famiglie, mariti, mogli, figli, pensieri, preoccupazioni, nostalgie, dubbi.

L'unica frustrazione è quella linguistica, perchè questo inglese che fa da collante non lo conosco così bene da permettermi di affrontare un certo tipo di discorsi, intimi, delicati, importanti.

Come quando la ragazza israeliana mi stava raccontando dei suoi due anni di servizio militare obbligatorio e della sua repulsione per le armi. Ecco lì ho ringraziato la mia empatia per aver in qualche modo sopperito alla mancanza di fluidità di parole. Che poi, a ben pensarci, forse è stato anche meglio così. Perchè su quello che ho letto nei suoi occhi o sul modo di saltare in aria per un rumore apparentemente stupido, su quello non ci sarebbe molto da dire.
Per tutto quello che è al di sotto di questo livello di importanza invece, ci si capisce benissimo. Avete mai desiderato tornare a scuola ma con la testa di adesso?! Io sì.
E si è avverato.

mercoledì 28 agosto 2013

Nodo in gola day

Un insieme di prime volte, questa nuova vita. Ed oggi è stata la prima volta che qualcuno è ripartito. E non un qualcuno qualsiasi amesso che esista, ma un qualcuno speciale: mamma, sorella, amici che per la prima volta sono venuti a conoscere -eccezion fatta per Giordano che già c'era stato prima del mio trasferimento- la città in cui ora viviamo.

 E gliel'ho mostrata con orgoglio e gioia, in tutta la sua strana vivibilità, tra le gru che fiere svettano tra i tetti, mescolandosi a ponti bellissimi e viali. Con la puntualità dei mezzi pubblici, nel caos di Kotti, nella calma del lago. Il caffè e il pranzo con mia sorella, le immancabili liti, mamma portata in giro a fare la giovane. Il Cargo berlinese, il Museo ebraico, Ostkreuz.

 E poi i saluti, ad una fermata di metro con i miei amici, un po' di corsa per nascondere la nostalgia e la tristezza (con una mano sul cuore) e a casa con mamma e Fede e con la scusa che perdevo il bus veloce veloce pure con loro. Non sopporto i saluti, mi spaventano. Preferisco tenere per i passeggeri del tram lo spettacolo dei miei occhi traboccanti.
Sono stati giorni bellissimi e molto veloci in cui ho cercato di dividermi tra loro, la scuola, la casa. Più che la casa, della quale me ne sarei fregata volentieri, dei cani, di loro non è possibile fregarsene, loro sono famiglia. Proprio come quella famiglia allargata che per una settimana è stata qui ed ha reso questa Berlino ancora più bella. L'ha resa quasi completa, ad un passo dalla perfezione.

martedì 20 agosto 2013

Innamoramento.

Una persona che conosco da poco ma che mi sembra mi voglia giá bene, ed io a lei, mi ha detto non dire i fatti tuoi, la gente è cattiva, non dire che va tutto bene.
E le sensazioni di negatività che a volte mi piombano addosso, mi spingono a darle ragione.
Scaramanzia, non ci credo ma non si sa mai.

Ma io come faccio?! Come faccio a non dirmi felice se tutto sta prendendo forma?!
Se inizio a capire 4, 5 parole a frase e se non ho quasi più bisogno della cartina per muovermi?!
Se guardo i tramonti con stupore e mi piace da morire andare a scuola e, ovviamente, mi reputo fortunata per il fatto di potermelo permettere?!

Se la mattina mi diverto ed apprendo, conosco persone che come me hanno voglia di apprendere, perchè no, divertendosi.
Se il pomeriggio lo trascorro tra le faccende di casa, i cani e se ho la fortuna di avere dei  vicini fantastici, gentili e che voglio fortemente diventino veri amici.

Se mi piace il quartiere, il caffè da bere in metro, quell'arietta fresca che ti da un'idea del freddo che arriverà.


Sono follemente innamorata di questa città versatile, questa città che sembra essere e in cui sembra di essere in eterno viaggio, mille città in una: rurale, turca, ricca, povera, moderna, russa, in eterna (ri)costruzione. Che se la guardi dall'alto del Duomo vedi tetti, gru, un fiume, gru, tetti tra i quali uno con un prato e un binario sopra. Colorata, tranquilla, caotica.

Sono innamorata, la mattina fremo all'idea di uscire e di godermi ancora le coincidenze al minuto di tram, metro e bus. Sono innamorata, leggo le innummerevoli guide che ho e penso a quando andrò a visitare quel posto o tornerò in quell'altro. Sono innamorata del Natur Park di Schönenberg: parco nato sopra una vecchia ferrovia in disuso, arricchito da istallazioni e la cui flora e fauna sono protette.

Ora sarà il tempo a dirci se questo diventerà vero Amore, quotidianità, fiducia, senso di appartenenza, normalità.

La settimana scorsa sono stati qui gli zii di Andrea, 72 e 74 anni sono saliti su un aereo e sono venuti a vedere come ce la stiamo cavando. É stato curioso vederli in questo contesto, è stato strano salutarli.

E domani?! Domani arriva il giorno che aspetto da quasi due mesi, da quando sono qui: domani arrivano mia madre e mia sorella.

Ed anche i miei amichetti.

E mi aspetta una settimana da turista nella città in cui vivo e vado a scuola.
E so che non dovrei dirlo, che la gente è cattiva ecc.ecc. ma io sono così tanto felice.

lunedì 12 agosto 2013

Vhs

La borsa é pronta e tra un po' vado a dormire che domani mi aspetta una levataccia.
É che ho iniziato la scuola, da giovedì scorso per la verità.

L'impatto è stato splendido: l'insegnante è una giovane e simpatica tedesca, alta alta e secca secca, caschetto nero ed occhialone da nerd che ha iniziato a parlare, anche se molto piano, da sempre in tedesco, i compagni di corso hanno in media la mia età, molti più giovani, qualcuno più grande, quasi tutti qua da qualche mese, qualcuno addirittura da due anni.
Italiani, Bangladesh, un'Israeliana, Spagnoli, un Cipriota, un'Americana, un Sudafricano, una Bulgara, una Polacca, un'Albanese, una Ceca, un meltin pot di colori, lingue, dialetti, usi ed abitudini, tutti lì con la stessa motivazione: imparare il tedesco.
Impresa, si sa, tutt'altro che facile ma assolutamente indispensabile. Altro che si vive pure con l'inglese.
 La scuola è la Volkshocschule di Wedding ed è la scuola del popolo, per intenderci, quindi economica ma, da quello che leggo e da quello che vedo molto seria e funzionale.
Il corso che seguo io è intensivo quindi 5 giorni a settimana, per 5 ore al giorno, che poi , sono 4 ore e mezzo se togliamo la mezz'ora di pausa. Quando esco da scuola ho un mal di testa di quelli da concentrazione: passo tutta la mattinata attenta a non perdermi una parola, un significato.
Questa per me è un'occasione preziosa, per la prima volta nella mia vita posso permettermi un periodo senza lavorare perchè, ebbene sì, qui si può vivere in due (in 4 visto che i nostri cani mangiano carne, pesce, verdure ecc.)  con un solo stipendio e posso quindi dedicarmi allo studio di questa lingua che, sono certa, ci faciliterà molto le cose da queste parti.

Il bus ogni 10 minuti sotto casa, le coincidenze perfette, il caffè, la lezione, la pausa tutti insieme in bakerei, al ritorno il Bretzel al volo e via a casa dai cani. E poi aspettare Andrea se ha il turno del pranzo oppure organizzarmi la serata tra una passeggiata al lago, qualche film, il mio libro. E i compiti a casa.

Tutte cose semplici che mi fanno sentire fortunata. Terribilmente.

sabato 10 agosto 2013

Tempeste anni '90

Qui succede così, si alza un po' di vento, il vento aumenta, il vento soffia fortissimo ed ecco una tempesta.

 Nessuna mezza misura:
se c'è sole è sole vero,
-ma dopo due minuti-
se c'è vento è vento vero
e se c'è pioggia è pioggia vera.

 Almeno in questi giorni è così, inutile guardare le previsioni
(abitudine che non ho comunque mai avuto)
nello stesso giorno vivrai tutto e il suo contrario.
Molto spesso in tutti i sensi.

Caffè, dolcetto e vecchi video degli Afterhours. Quando si vestivano da ragazzine pelose, per capirci, o si legavano a delle assi di legno per lasciarsi dondolare, o si disegnavano mascherine nere sugli occhi. Quando Manuel era capellone ma senza chierica Giorgio smascellava un po' di meno e, soprattutto, c'era Xabier. Ah no, lui è tornato. Ed erano belli davvero, belli indiscutibili e credibilissimi, non come ora che sono belli perchè lo sono stati. Terribilmente anni '90, proprio come Berlino. Ma forse, ancora di più come la parte in cui siamo noi, di Berlino.
Vestiti, tagli di capelli, negozi. Atmosfera.

Qui è dagli anni novanta che non si è usciti vivi.

mercoledì 7 agosto 2013

Giornata tipo (anzi mezza)

Per il mio ultimo giorno da fancazzista italiana a Berlino che poi i primi due termini qui sono quasi sempre sinonimi , avevo programmato un salto in libreria in mattinata. E magari a scuola per vedere se per caso avevano affisso qualcosa in bacheca. E basta.

Domani inizia scuola e giammai la scolaretta rompiballe che latita in me potrebbe andare a scuola senza libro. Ma si sa, questa città è imprevedibile e così...


Dai Blu, andiamo a fare la passeggiata. Però facciamo il giro dell'isolato, senza allontanarci troppo 
Peccato solo che da queste parti, il giro dell'isolato è roba di 2 km, forse 2 km e mezzo perchè non è il giro del palazzo ma il giro di 2, 3, 4 fabbriche di quelle enormi e rosse degli anni 40, e poi prati, boschi.

e   Oddio un ponte, ma dove cavolo siamo?! Ci siamo persi Blu, non ridere. Ah, ecco, riconosco la strada.</i> E così dopo un'ora e mezza di camminata, con somma gioia del mio cane torniamo a casa. Dai Gimli ora tocca a te, aspetta che prendo la spazzatura. Plastica, umido, carta. Ah sì la carta la infilo tutta in questa bella scatola di cartone. Pure l telefono che non si sa mai. Mmmm...niente tasche. Vabbè ecco il lampo di genio- metto nella scatola della carta, vuoi che non mi ricordi di toglierlo pri ma di buttarla?!?!?! ascensore, spazzatura, butto tutto. Tutto. 50 metri e ...ora prendo il telefono e... ÀAAARRRGGGGHHHHHH IL TELEFONO!

Come una cretina l'avevo lasciato nella scatola. Torno indietro di corsa ed eccolo lì...impossibile da prendere. Fermo un ragazzo convinta che col braccio più lungo ce l'avrebbe potuta fare (manco fosse stato Carletto il Principe dei Mostri) e invece niente: non si impegna. Alla fine resto sola: io, Gimli, il cellulare nel bidone e una scopa. UNA SCOPA?!?! Ma certo che con la scopa ci riuscirò. E così tra sudore, schifo, fatica e un'abilità che manco la pesca alle giostre recupero il mio cellulare.

E poi di corsa a comprare il ibro, che qui nei primi giorni di scuola sono tutti fomentati tra penne, quaderni e libri.  Ed oltre ai miei libri prendo le penne rossa, blu, verde che servono per distinguere le parole. Non ridete.
E poi mi incontro con una ragazza italiana e parliamo di lavoro, di quest'esperienza che alla fine è una lima, per alcune cose ci accomuna tutti. Ci riporta tutti allo stato grezzo, a prescindere dalla forma che avevamo prima di fare il salto.

Pranziamo insieme e poi da Primark, come se fosse una giornata di shopping con un'amica invece che con una persona conosciuta da 10 minuti.

Perchè a volte l'unica cosa che serve sono due chiacchere, una giro per negozi riflettendo su quanto le distanze ed i tempi cambino, in una situazione come questa.
I ragazzi che abitano sopra di noi, per esempio, mi sembra di conoscerli da una vita.
Tempo?! Le 14! Sono le 14!! La fila è troppo lunga, mollo i miei acquisti e scappo a prendere la metro.
I miei cani mi aspettano.


Ho bisogno di un dog sitter.

sabato 3 agosto 2013

Immersioni

Io mi sono immersa in un lago e mai avrei detto che sarebbe stato piacevole, voi provate ad immergervi qui.
Ma prima di farlo


Lo sai cosa penso? E dimmi, tu hai lo stesso pensiero così forte, o non puoi? La luna è liquida ed io mi sento invisibil come sempre quando è tardi per dire che non sopravvivo. - Invisibile, Cristina Donà-

É che non credo mi possa bastare una sola vita, per quanto pienamente la stia vivendo e non parlo nemmeno di reincarnazione, sia chiaro, per il semplice fatto che mi è impossibile sapere se e in cosa mi reincarnerò.

Non parlo di una vita dopo questa, questa mia vita bella che spero sia anche lunga, lunga il giusto per intenderci: nente da lasciare in sospeso ma nemmeno quell'accanimento testardo che ci rende centenari infelici, imprigionati in un corpo e in una testa che non riconosciamo più.
Parlo di vite parallele: destra, sinistra, su e giù. Parlo di quelle vite che, ne sono certa, esistono. Però non credo sia possibile dare una sbirciata o comunque fin'ora non ne ho trovato il modo.
Perché ci sono troppe cose da fare, posti da vedere, libri da leggere, amori da amare, film da vedere, lacrime da piangere, risate da ridere, paure da affrontare, persone da conoscere per infilare tutto in una vita sola.

Osservo le vite degli altri e sento che gli altri fanno lo stesso con me, e poi vi leggo, mi leggete e poi parlo, ascolto e la mia mente parte.
Va. Viaggia. Immagina. Ricorda.
Sarà per questo che non mi sento mai sola?

giovedì 1 agosto 2013

Paure e cigni sfrontati.

(ATTENZIONE: i lettori che hanno anche la mia amicizia su facebook, troveranno delle cose in parte già lette, abbiate pazienza.
 Facebook per è un blocchetto per appunti, mi segno una cosa ed inoltre ho la possibilità di riflettere sui commenti che ne scaturiscono. Comodo no?)

 Io qui a Berlino non lavoro, o comunque non ancora.
Fino ad ora mi sembra ancora di godermi uno strano mese di ferie,ma che ferie sono se la tua vita ha il sapore di "quotidiano", se compri mobili, se fai progetti, se sai che rimarrai qua? E infatti non sono ferie.
Ho lavorato talmente tanto negli ultimi anni che questa disoccupazione forzata me la sognavo da mesi e infatti me la godo, c'è stato solo un momento, settimane fa, in cui sembrava impossibile trovare casa e l'unica possibile costava un po' di più di quello che avevamo immaginato; ecco,durante quei giorni il mio periodo sabbatico di assestamento ha rischiato seriamente di finire prima del tempo: se serve lavoro, ovvio, ma un po' mi sarebbe dispiaciuto perchè avrebbe significato non avere nemmeno tempo per stare con i cani ed ambientarli al nuovo posto, avrei dovuto cercare di corsa un dog sitter e incrociare le dita.

 Poi per fortuna è uscita fuori questa casa e, ed ecco una delle enormi differenze con l'Italia, qui una famiglia (anche con figli forse, viste le agevolazioni e i sussidi) può permettersi di andare avanti con un solo stipendio. Certo, niente lussi nè case fighe ma si vive decorosamente. E così stiamo facendo noi, per qualche mese forse, il tempo di imparare un minimo, visto che per una decente conoscenza del tedesco comunque si parla di almeno un anno, e potermi poi proporre per quello che so fare meglio: laboratori di teatro per bambini.
E se non dovesse essere quello, per qualsiasi altra cosa, per iniziare, poi si vedrà. Sì perchè, esperienza di mio marito a parte 'che comunque un cuoco italiano vero che non si improvvisa tale solo per sfuggire all'ostacolo lingua, il lavoro lo trova, ma appunto settore gastronomia a parte, Berlino pare essere satura a livello lavorativo.
Questo è quello che mi arriva almeno, staremo a vedere.

Nel frattempo, come se avessi dodici anni, e poi venti e poi ventitre, ho sconfitto di nuovo la mia paura della bici, lotta che ciclicamente nella vita mi trovo costretta ad affrontare.
E qui a Berlino, come scappare dalle due ruote?
Come rinunciare alle ciclabili che collegano tutta la città, al senso di libertà, alle gambe indolenzite?
Quindi, paura superata, ora si tratta si prendere dimestichezza per non temere di fermarsi ad ogni semaforo.
Anche perchè, se superi la paura e vai arrivi in un laghetto molto poco turistico e un po' selvaggio, immerso nel verde e ti siedi su una panchina godendoti il posto e il modo in cui l'hai raggiunto.
E mentre stai lì sbuca una famiglia di cigni e mentre pensi "ma li ho mai visti così da vicino?!" e vedi che il padre enorme continua a venire verso di te e non cambia strada, mantieni la calma e pensi:"e che vorranno mai?!" ma lui continua inesorabile a puntarti e a quel punto pensi che sia meglio cambiare panchina.
Loro si mettono lì a mangiucchiare l'erba e soffiano ad una signora che si avvicina troppo.
Si alza il vento e si annuvola ed è meglio andare che l'acqua in bici in magliettina non è il caso.
Ti rimetti in marcia e pensi che no, una famiglia di cigni così da vicino non l'avevi vista mai.

lunedì 29 luglio 2013

Trentagiorni (più o meno)

Il primo mese qui è passato in sordina.
Niente candelina da soffiare, due giorni fa, per per il nostro complimese, ma una giornata come tante: casa da sistemare nei limiti di quello che, abbiamo capito- sarà un lungo trasloco, il lavoro di Andrea, la spesa, una lunga passeggiata notturna con i canetti e i nuovi vicini.

Esattamente quello che credo sia giusto fare in questi primi giorni, giorni buoni per acclimatarsi, infilando il piede in acqua per preparare tutto il corpo, lentamente.


Giorni buoni per guardarsi intorno, per prendere le misure, per conoscere bus, tram e i loro affidabilissimi orari, per studiare supermercati e lavanderie: che quella nel palazzo è comoda per ovvi motivi, ma quella vicino al lago...quella vicino al lago ti regala 40 minuti seduta al sole, ad aspettare che il bucato sia pronto.
Per scegliere le strade migliori da fare quando si esce con i cani, la bakerei con il cappuccino e i croissant più buoni, che il salato di mattina, quello ancora no.

I nostri orari continuano ad essere sballati, quando possiamo, cioè quando Andrea non lavora, ci alziamo con calma, portiamo fuori i cani, facciamo colazione fuori, sbrighiamo qualche faccenda. E la sera, la sera in un Paese in cui si cena alle 19 o anche prima, noi non riusciamo a cenare con la luce quindi fino alle 22.00 non ci mettiamo a tavola.
A tavola poi, in realtà è solo da stasera che abbiamo effettivamente un cucina in cui poter cuocere qualcosa e non mangiare solo panini.
E tutto questo inizia a fare casa. 

La difficoltà di tutto quello che stiamo affrontando ce la ricordiamo ogni giorno, ad ogni battito di cuore accellerato, ad ogni senso di stordimento, ad ogni vampata di caldo.

Tutto quello che ci aspetta ogni giorno è scoperta e sfida e le cose più semplici come chiamare il ragazzo che si occupa delle riparazioni nel palazzo o comprare due tessere mensili per i mezzi pubblici diventa un'impresa, a volte divertente, molto spesso frustrante.

Ma ci aspettavamo tutto, volevamo tutto ed imparerò ad amare questo odore di nuovo, di pacchi da spacchettare, di scotch, di cartoni.
Apprezzerò ogni libro che riemerge dalle scatole e quando lo sistemerò sulla libreria proverò il desiderio di rileggerlo di nuovo, come se fosse la prima volta.

Imparerò strade, orari e parole.

Per non rimanere come una cretina quando la cassiera mi chiede se voglio lo scontrino.

giovedì 25 luglio 2013

Un giorno qualunque.

Quella che sto trascorrendo seduta a terra col tablet sulle ginocchia è la seconda notte nella casa nuova.

La casa vacanze di Charlottenburg è pagata fino al 27 ma ieri abbiamo preferito prendere l'indispensabile e portare icani qui che in quella non stavamo più tranquilli.

 L'arrivo è stato dei migliori, Blu eccitato dallo spostamento in macchina e dalla zona nuova tirava ed annusava e ad aprirci il portone è una sorridente ragazza che subito si piega verso i cani, li saluta, li coccola: è italiana, chiaccheriamo un po' ci presenta al marito don un "sono italiani!!!" , scherziamo sul fatto che no, forse non dovremmo andarne così fieri. O forse sì?! Mah.

 In casa c'è solo il frigo, il divano, il letto ed un armadio, i fornelli ce li hanno consegnati rotti (ovviamente) e quindi via di cibo spazzatura mangiato sulla moquette nuova. Finalmente un posto dove non entrare come fossimo ladri, come se fossimo ospiti indesiderati invece che paganti, finalmente un posto che può essere immaginato in divenire. Anche se ora ci sono valigie e scatole e buste ovunque. I ragazzi del nostro "comitato di benvenuto" ci aspettano domani sera per andare a prendere una cosa insieme, oggi lei è venuta a bussarci per dircelo e per raccontarci cose assurde e divertenti di questo palazzo-ostello in cui comunque loro stanno da dicembre. E ci siamo stordite di chiacchere che un po'è stato piacevole parlare in italiano con qualcuno. Oggi sono anche riuscita ad andare alla Rathaus a fare l'anmeldung (domicilio) e sempre da sola sono riuscita a farmi capire non si sa bene come anche se quando ho visto il monitor su cui scrivono i numeri rotto, sono caduta nella disperazione: li chiamavano a voce e i numeri, cavolo se sono complicati! Ma poi gli efficenti tedeschi hanno aggiustato tutto in 5 minuti e non c'è stato bisogno di mostrare il fogliettino col numero come una muta. Sono andata anche al lago, che è distante 10 minuti di passeggiata ma c'era una specie di centro estivo urlante quindi sono andata via. Mancano ancora delle cose da prendere nella feriewohnung di Charlottenburg e soprattutto dobbiamo portare qui le nostre cose che aspettano in deposito, Ma con calma, ora possiamo fare con calma.

martedì 23 luglio 2013

Odore di nuovo

E quindi, finalmente ci siamo.
Siamo riemersi dall'agitato mare del mercato immobiliare berlinese, mare che ci ha visto solo passare, senza poter lasciare alcuna scia, comparse senza diritto di parola.

Tra le varie difficoltà che ci saremmo aspettati mai avremmo detto che la ricerca infruttuosa di casa avrebbe potuto popolare così i nostri peggiori incubi.

E invece.

Apri vari siti per le ricerche di wohnung mieten (appartamenti in affitto), scegli, chiami, prendi appuntamenti, voli da una parte all'altra della città e all'inizio ti sembra quasi fatta, nemmeno uno di quei terribili appuntamenti open in cui tutti si riversano nella casa e poi gareggiano per chi porta prima i documenti in agenzia (tornerò sullo scabroso argomento), no, tutte persone carine, vecchi vermieter (inquilini) che ti mostrano la casa, illustrando i pro e i contro, gentili e disponibili, tanto che tu ingenuamente pensi "è fatta"!  ti senti quasi nachmiter (nuovo inquilino...sì, i tedeschi hanno inventato una parola anche per questo)e invece..."compilate questo foglio coi vostri dati e poi, portate i documenti in agenzia se siete interessati."

"Se siamo interessati?! Ma certo è bellissima e costa poco" (quasi in ogni caso).

Con documenti o papieren si intende:
-ultime 3 buste paga, noi che non le avevamo portavamo il contratto di lavoro di Andrea (l'unico di noi a possederlo);
-fotocopie dei nostri documenti;
-Schufa (certificato che indica il grado di "credibilità finanziaria" e quindi se e quanti finanziamenti hai, se li paghi, se paghi le tasse, se paghi le multe. Se la tua Schufa, che si richiede e successivamente controlla presso un'Easy credit o un qualsiasi istituto bancario, pagandola 18 euro nel caso del primo o di un istituto bancario dove NON hai un conto, dicevo se la tua Schufa scende sotto il 60%, comincia a pregare.
-un foglio del vecchio proprietario di casa che garantisce che hai abitato nel suo appartamento dal al e hai sempre pagato la cifra di;

con questo malloppo si va o fisicamente in agenzia o gli si inviano via mail o fax e poi si aspetta.

Cosa?! Quasi sempre il nulla. Visto che su 15 appartamenti visitati e 7, 8 documenti consegnati solo 2 ci hanno "selezionati".
Perchè?!
Perchè siamo italiani, perchè lavora solo uno di noi due, perchè abbiamo due cani e la busta paga non è abbastanza alta, visto che come ho già raccontato, la busta paga netta deve essere tre volte l'affitto "caldo" e quindi comprensivo di luce, acqua e ga dunque per una casa da 600 calda che a chi viene da Roma sembra un sogno, dovresti avere 1800 di busta paga che insomma, non sono proprio uno scherzo.

Quando anche una mansardina dei sogni molto economica ci delude e siamo già sull'orlo della disperazione ecco che il social network per antonomasia ci mette lo zampino: uno sconosciuto amante dei cani, legge le nostre disavventure e ci consiglia di andare a chiedere in un posto a Weißensee, periferia nord-est di Berlino conosciuta per il lago molto frequentato con l'atmosfera di un villaggio ma con un tram che in 20 minuti porta ad Alexander platz, con la metro a poche fermate di bus e tutti i servizi, oltre a tanto verde.

Il posto in questione è l'European City Center una specie di centro culturale, centro sociale, simile ad un piccolo Forte Prenestino per gli amici di Roma, dove sono ospitati artisti da tutto il mondo, con teatri, atelier per mostre, spazi per concerti, due caffè, un lago artificiale in costruzione, corsi di tedesco e ...udite, udite, un'agenzia immobiliare.

Non inorridiamo alla parola solo perchè il ragazzo che mi consiglia il posto mi rassicura dicendomi che è un po' bizzarro ma non chiede documenti.

Con le speranze ridotte all'osso ci imbarchiamo ed arriviamo in questo posto e, lo ammetto, il primo pensiero entrando alle 14 in questo enorme centro sociale ospitato da una vecchia fabbrica del 39 è: finiremo in una comune, costretti a costuire in eterno laghi artificiali in cui non potremo mai rinfrescarci e la nostra storia finirà e le nostre personalità scompariranno perché questi sono come "gli Altri" di Lost.

E invece arriva questo tipo strambo, nonostante avessimo un appuntamento ci chiede cosa stavamo cercando, ci fa qualche domanda generica e ci fa accompagnare a vedere la casa che scopriamo non essere lì dentro. Andiamo a vedere la casa: è piccola e luminosa ma incredibilmente "possibile", la guardiamo, ci guardiamo intorno ecco che si avvicina il momento dei documenti, le buste paga e noi che ci guardiamo sconsolati e invece il ragazzo ci dice "volete venire adesso a firmare il contratto". ........ Sta succedendo davvero. Ora?! No, ora no, blateriamo...dobbiamo scappare. Domattina?! Domani sì, anzi no, è sabato. LunedI??! E così oggi, ancora un po' titubanti ed increduli siamo tornati, abbiamo dovuto aspettare quasi un'ora perchè nello scavare per il lago hanno stracciato un filo elettrico portando via la corrente a tutti i palazzi adiacenti, Rathause-Comune compreso, ma poi ci ha fatto salire, chiesti i documenti e fatto firmare, davvero, il contratto. Un sospiro di sollievo ci pervade: andiamo nella casa nuova, cerco di immaginarla con i mobili dentro. Non vedo l'ora di sentirla mia. Di sentirla odorare di noi.

giovedì 18 luglio 2013

Tempi e sguardi

Ieri sera blogger non si apriva, almeno non con questa connessione e così non ho scritto ciò che avrei voluto.


É che la disavventura della casa sta monopolizzando questi primi giorni berlinesi e devo combattere con la sensazione che mi stia perdendo qualcosa di grosso, di speciale, come il benvenuto a Salamanca l'anno dell'Erasmus 'che io arrivai il giorno dopo e tutti si erano già conosciuti, presentati, adocchiati. Prenotati.

Che mi stia perdendo qualcosa di raro, come ad esempio un'estate come Cristo comanda.

Che qui si sa, l'estate arriva a luglio e la primavera è con la neve e l'idea che io mi stia perdendo il periodo più bello dell'anno ( a detta di molti ma chissà, magari iommi innamorerò di marzo...) dietro ad agenzie che ci ignorano, case in culo al mondo, case belle ma troppo per noi, ecco...mi fa incazzare parecchio.

Ma d'altra parte non poteva certo andare tutto liscio come l'olio, stiamo qui da 20 giorni e ci sembra molto di più per la quantità di cose che siamo riusciti a fare.


Tutto questo per dire che Berlino è bellissima. E lo è anche davanti al mio sguardo distratto e frettoloso, sguardo di chi deve sistemare mille cose prima di cominciare davvero a vivere. Sguardo indaffarato di donna che dopo 10 ore di macchina guarda fugacemente il mare ma sa che prima di raggiungerlo dovrà disfare le valigie di tutta la famiglia.

Berlino è bellissima senza fare poi molto per esserlo, bellissima ed appena sveglia. Bellissima ed in disordine. Senza scusarsi mai.

Spero presto di poter avere uno sguardo più attento, più attento ai particolari, ai dettagli, ai colori. Anche dietro l'obiettivo.

Per ora è così.



domenica 14 luglio 2013

Attese e passaggi (apparentemente) inutili

Non la chiamerei tanto freddezza, quella dei tedeschi, quanto più essere terribilmente burocrati e seri, ecco.   Premettendo che io a Roma le case le ho sempre affittate col passaparola "oh ma lo sai che il cugino de 'n amico de uno che c'ha er banco ar mercato lascia 'na casa?!" e quindi non ho mai avuto bisogno di andare in agenzia e non so esattamente come funzionino le cose ma qui la sensazione è che sia tutto terribilmente rigido.



 Tu vuoi affittare una casa che "calda" (tutte le spese di luce, acqua e gas incluse) viene a costare 700 euro? Bene se non hai una busta paga di 2.100 euro (netti) te la puoi pure dimenticare. In un certo senso oltre a tutelare loro stessi, tutelare i proprietari delle casa, tutelano anche te che non ti ritroverai mai a non poter pagare l'affitto.   Ma vaglielo a spiegare che a Roma hai pagato 950 euro  di canone mensile (spese di condominio escluse) per due anni durante i quali solo i primi mesi avete lavorato in due, poi hai lavorato solo te e la padrona di casa era anche la titolare della società per cui lavoravi e sapeva benissimo che alcuni mesi saremmo rimasti con 300 euro, altri mesi con niente, altri ancora non ci sarebbero bastati nemmeno per l'affitto (e nonostante questo, non ha mai aspettato u n solo giorno).     Come è stato possibile sopravvivere?! Me lo chiedo ancora, a volte. Aiuti dalle famiglie, risparmi dilapidati, botte di culo.     Ma qui non esiste niente di tutto ciò e se hai 1300 netti in busta paga puoi candidarti per una casa di 420 calda. Ed esistono e sono pure bellissime e ben collegate con le metro (indispensabile, a Berlino) solo che noi siamo appena arrivati, siamo italiani ed abbiamo due cani. E così le opportunità di avere una casa a quel prezzo si riducono drasticamente. Ma non spariscono, sia chiaro e per la casa perfetta che abbiamo visto venerdì, anche se si tratta miracolosamente di un privato dobbiamo aspettare mercoledì per una risposta. Perchè sabato e domenica è tutto fermo, lunedì visionerà i documenti, martedì al massimo mercoledì sapremo qualcosa. Ed io, impaziente, odio aspettare e fremo. E vorrei sapere dove posso visualizzarmi da qui a sedici giorni. Che, ridete pure, fossimo solo noi due me ne fregherebbe di meno ma ci sono i nostri due canetti con noi e il senso di responsabilità è grande. Sennò c'è l'opzione casa vacanze, paghi un po' di più ma non c'è la trafila dei documenti e l'attesa snervante. Ma non ci  sarebbe nemmeno una casa nostra, da arredare pian piano come piace a noi, dove ficcarci un divano che possa essere la cuccia dei nostri cani senza l'ansia che possano rovinare il divano di qualcun'altro. Dove sistemare libri e cd  che  ci aspettano, pazienti, in un deposito.   E tornando alla rigidità che sto cercando di comprendere dei tedeschi, ieri eravamo al Durkenstain Festival a Charlottenburg e ci avviciniamo allo stand Chicco d'oro per ordinare due caffè, quando alla domanda quant'è ci siamo sentiti rispondere quattordici euro abbiamo strabuzzato gli occhi. Conosciamo l'uso del pfan, il vuoto a rendere,  ma non riuscivamo a capire perchè dovevamo pagare 10 euro di vuoto pure prendendo il caffè allo stand senza portare le tazze da nessuna parte. Paghiamo quanto richiesto. Beviamo il caffè ed ecco che ci vengono restituiti i 10 euro. Tutto in 5 secondi. Italianamente non riesco ancora a capire tutti questi passaggi che sembrerebbero inutili ma sento di essere sulla strada buona.