lunedì 19 gennaio 2015

Ascolta e scrivi.

Come se scrivere tanto fosse una colpa. Se così fosse, allora scusatemi.
Tre donne che possono scegliere tre tracce, possibilmente sconosciute. Tre donne che ascoltano tre tracce e che poi scrivono. Si influenzano e scrivono.
Ecco quello che ho scritto io, si chiama scritturoterapia e mai come oggi è stata una figata totale. 



Forse tra un attimo -El Muniria-

La penombra ci avvolge, visti dal di fuori sembriamo due che si stanno annoiando.
Io sul bordo del letto, tu sulla poltrona. Le uniche cose che avremmo da dirci sono quelle che ci farebbero più male. 
Meglio tacere. Meglio il silenzio. 
Meglio guardare negli occhi le nostre promesse non mantenute. 
Non ci salveremo mai, noi due. 
Non se io o te. 
Non se uno dei due, non decide.
Non se uno dei due non decide di alzarsi, indossare qualcosa e lasciare questa stanza che odora di nulla.
Forse tra un attimo.





Amica Venus

Dove corri? Amica mia, rallenta.
Il concerto inizia tra un' ora e non c'è nessuna fretta.
Non mi va di arrivare prima e sorbirmi la trafila del pre-serata, quando tutti sono troppo lucidi ed impacciati per scambiarsi qualcosa di più che non frasi di circostanza e finti che piacere rivederti.
Vai piano, amica mia.
Cammina accanto a me ed anche se fa freddo, affacciamoci da questo ponte, osserva con me il fiume che, sono certa, domani sarà di ghiaccio.













Atoms for Peace



Mi fanno male gli occhi, vorrei togliere le lenti.
Ma poi tutti vedrebbero il mio occhio incolore.
Mi sforzo di apparire normale e prima ancora di pensare che la normalità non esiste.
E che se pure esistesse io non vorrei farne parte, dei normali. 
Tra 10 minuti si apre il sipario e dovrò uscire fuori.
Non deludo le aspettative.
Se potessi indosserei la maschera di Frank.
Se potessi sarei ridicolo e geniale, se potessi vi manderei tutti a fanculo.
Invece ora suonerò per voi.
Ed anche se non vi vedrò, saprò che ci sarete.
Sarete lì: emozionati, umidi, desiderosi.
E io mi vivrò ancora una volta il peso, di sapere che siete lì per me.



domenica 18 gennaio 2015

Palpebre chiuse.

È andata così, Agata ci ha dato un esercizio in cui avremmo dovuto descrivere "la volta in cui abbiamo tradito la fiducia di qualcuno".
 Io non l'avevo fatto, poi però Daria ha scritto un post
(una donna che va via, di notte.)

ispirandosi proprio a quell'esercizio e a me è venuta voglia di scrivere questo.
Io non so se capite che tutto ciò -non il mio scritto, ma TUTTO ciò- è una figata, lo spero per voi.


Lasciare questa stanza d'albergo, nel cuore di una notte silenziosa in cui i secondi vengono scanditi solo dalla goccia del rubinetto che perde, è forse la cosa più dolorosa che le sia mai capitata nella vita.
Questo che sta abbandonando, nel mezzo di un ignaro sonno è l'uomo che le aveva affidato la propria, di vita, che le aveva aperto le mani, gliele aveva richiuse e nel mezzo aveva lasciato se stesso.
Nessuna promessa, nè progetto, solo lui e tutto il caos che conteneva.
E lei, mai come quella volta sentì forte, sulle spalle, tutto il peso dell' essere stata scelta.

Erano lui e il suo bambino, quando li vide la prima volta, erano davanti ad un distributore di benzina. Li sorvolò con gli occhi senza soffermarsi né sullo sguardo concentrato del piccolo né sugli occhi che, ci avrebbe potuto giurare, un tempo erano stati profondi, dell'adulto che lo teneva per mano.
Li sorvolò ed andò oltre perché quello era, da sempre, abituata a fare.
Ma poi lui si mosse, lui la guardò, lui la chiamo, lui la scelse.
E lei non trovò, in quel macigno che le piombò sulle spalle, un solo motivo per dire no.

E seguirono giorni di silenzio, giorni in fuga, giorni a fingere che in fondo era normale così.
Alberghi, case, i chilometri e loro tre, in un curioso equilibrio triangolare che per un po' le sembrò la perfezione.

Ormai non manca molto alla città nella quale lei ha promesso di accompagnarli: qualche altro giorno di viaggio, altre parole, altro aiuto, altre notti di quella specie di amore ed altro, prezioso, reciproco, conforto.

Non sa bene cosa succederà una volta arrivati e non le importa ma sa che per lei non finirà lì. Lei è dentro, ormai. Lei ce li ha dentro. Lei è l'incubatrice.

Se apre le mani li può vedere, quei due, quelli che senza di lei non ce la faranno mai.

Non porta via niente con sè, stanotte. Stanotte è la notte in cui decide di andare via.
Si alza dal letto e prende lo zaino, immagina gli occhi dell'uomo dietro le palpebre chiuse, pensa che se lei avesse ancora un'anima avrebbe voluto toccare la sua, di anima, anche se per poco.
Gli sistema un ciuffo di capelli sulla fronte. Pensa che è bello.

Poi guarda il bambino, inaspettatamente lui apre gli occhi e la guarda per qualche secondo.
Quello che vede dipinto sul volto di quell'impenetrabile esserino, si chiama delusione.

lunedì 12 gennaio 2015

2003 circa. Perché no? Viaggiocake.


(L'esercizio era il viaggio. Vero, finto, desiderato, ricordato, solo immaginato.
 Ecco il mio)



Sono poche le volte che disse NO e quella, non fu certo una di quelle -poche- volte in cui lo fece.

Disse sì. Perché era la cosa più invitante al momento.
Perché era conviviale e quello che le veniva offerto appariva delizioso, perché era ubriaca e soprattutto perché no?
Così disse sì. Il locale era chiuso agli avventori ma aperto per loro, per festeggiare l'ennesimo Erasmus in partenza ed in Spagna, se c'è una cosa che sanno fare bene, è festeggiare. 

Così mangiò un pezzo di torta, come un'Alice golosa ma meno ignara.
"Vacci piano, è fatta in casa"
"Ma sì, tranquilli"
E poi un altro pezzo, piccolo.
Si leccò le dita, si sentiva curiosa, non aveva paura.

E poi arrivò l'ovatta.

E poi all'improvviso, camminando al fianco della sua coinquilina per raggiungere un altro locale si soffermò su una bottiglia di birra per la strada, sull'etichetta campeggiava un volto di donna, l'equivalente femminile e spagnolo del Signor Moretti.
L'etichetta le parlò.
La signora disegnata aprì la bocca e provò  a parlarle ma lei non riuscì a capire niente perché in quel momento era come se le nuvole del cielo si fossero fatte di zucchero filato ed ovatta per poi infilarsi nelle sue orecchie.

Si fermò, prese la sua amica sottobraccio e provò a spiegarle che le stava accadendo qualcosa di tremendo e bellissimo ma non era certa che lei potesse capirla.
Vampate di calore le colorarono le guance ed ecco mille biglie colorate vennero lasciate cadere nella sua testa. Girarono, rimbalzarono, ne seguirono i bordi come infilate in un contenitore, tondo, di vetro.

Le vedete le biglie? Sono i pensieri. Provate a fermarli se ci riuscite.
Lei non ci riuscì ed anzi capì, che provare a fermarli sarebbe stato un errore ma non uno di quelli belli.

Entrarono in un altro locale, vicino casa sua. Era un jazz club ospitato in un palazzetto a due piani, finestra ad angolo, la prima a catturare la sua attenzione. Era aperta.
Mille voci provenienti dalle mille bocche di mille persone senza volto, intorno e dentro di lei.
Non sapeva quale seguire.
Poi arrivò lui, forse un amico, forse uno sconosciuto, non lo saprà mai: la prese la testa per mano e l'accompagnò.
Seduti in quel locale affrontano il quadro più difficile di quel videogioco in cui era incastrata.
Avanti, indietro, ferma, seduta, in piedi.
"Ti immagini se adesso saltiamo giù?"
Si guardarono senza vedersi, non saltarono.
Ma avrebbero potuto.

Poi arrivò una delle volte che, sbagliando, disse no.
"Resta con noi"
"No, vado a casa."

Bevve una tazza di latte freddo ed improvvisamente la testa le venne risucchiata dentro.
Tornò fuori respirando a fatica.