sabato 9 novembre 2013

9/11

Oggi è l'anniversario della caduta del Muro ed io dovrei essere ad East Side Gallery dove pare esserci una specie di manifestazione.
Oppure dovrei andare al Flash Mob.


Invece me ne starò qui a guardare Grey's Anatomy, a mangiare biscotti al cioccolato, a piangere e a parlarvi de L'Aquila.
L'Aquila, Abruzzo.
Ed anche se sono arrivata tardi (forse di un giorno), lo farò lo stesso.

Chi mi conosce sa quanto la tragedia de L'Aquila  mi abbia colpita nel profondo, tanto nel profondo che decisi da quasi subito di recarmi sul luogo, per vedere coi miei occhi.
Inizialmente restia, indecisa, spaventata all'idea di essere scambiata per una turista del macabro (o di sentirmi tale) ma poi convinta di quanto fosse necessario invece vedere coi proprio occhi quello che era accaduto.
E fu così che il terremoto mi crollò addosso con tutta la sua violenza: non la città, per mia fortuna. Ma il terremoto, tutto quello che era incredibilmente accaduto: finestre spalancate, armadi per strada, visi stanchi, gente senza casa, disperazione, strade silenziose, militari, buio.
E mi caddero addosso anche le cose belle: Casematte, la voglia di ripartire, di lottare, le manifestazioni, l'odore di camino.

Per mesi non pensai ad altro, seguii tutte le vicende, le seguii con attenzione. 
Perché fin dall'inizio ebbi la sensazione che l'Aquila altro non fosse che il nostro avamposto, il primo pezzo crollato, al quale ne sarebbero seguiti tanti altri, la nostra metafora.
Città tradita non dalla natura, ma dall'uomo: dal malaffare, dalla politica, dagli interessi.
Seguii ed aiutai, a modo mio. E in un modo poco utile forse ma l'unico che conoscevo ed ancora conosco: scrivendo. 

Qui  uno dei vari pezzi che scrissi ma sono certa che cercando "Addei L'Aquila" dai meandri di Google uscirà qualcosa, fatelo. 
Nel caso in cui ne abbiate voglia.

Non voglio raccontare ora, tutto quello che provai in quei giorni, anzi in quei mesi né voglio raccontare delle persone che incontrai.
E' tutto scritto, da qualche parte, basta cercare.
Nel caso in cui ne abbiate voglia.

Voglio raccontarvi invece delle coincidenze che non esistono e dei deliri di onnipotenza: due giorni fa Jacopo scrive un articolo su L'Aquila e mi cita, parte immediatamente il mio pensiero su quello che fu quel periodo e mi dico: "devo riprendere in mano le informazioni in merito, sto trascurando quest'argomento che tanto mi sta a cuore. Non mi piace."
Oggi vengo a sapere che una delle persone che conobbi in quei giorni e che tra le tante mi colpì per determinazione, sorriso, schiettezza, sana follia, voglia di lottare si è tolta la vita.

E non ho potuto non sentirmi, da brava egocentrica, in colpa.
Perché se gli aquilani sono stati abbandonati da tutti, dalle istituzioni immediatamente e poi anche dagli italiani stessi, mi rendo conto solo oggi di quanto siano stati abbandonati anche da me, con l'unica differenza che io inizialmente ho provato a stargli vicino.

Ed ora questa persona che mi sembrava meravigliosa non c'è più ed io se da un lato vorrei tacere per rispetto di chi ora starà soffrendo davvero, in quanto credo fermamente nella gerarchia del dolore, dall'altro però non posso non ricordare, non stupirmi, non soffrire per quello sguardo arguto, quella lingua lunga, quella voglia di combattere.
E pensare che, incredibilmente, non ci sono più. Non c'è più lui.

Non posso non ricordare come, durante un'accesa assemblea cittadina mi chiese di prendere il suo spazio per parlare.
E io, ospite in punta di piedi ma bisognosa di chiarire un punto di vista e specificare che qualcuno non stava dicendo la verità, lo feci.

Chi mi conosce sa anche quanto, per quanto sfacciata possa apparire, io in realtà mi vergogni come una ladra di parlare in pubblico, e così rossa come un vergognoso peperone, lo feci e lui mi guardò dandomi coraggio e quel pizzico di follia.
Dovevo farlo per loro, era l'unica -piccolissima- cosa che in quel momento potevo fare. 
E prendendo fiato lo feci. Dissi quella che in quel momento era la mia verità. Anzi LA verità.

Ecco, avevo solo un bisogno egoistico di tirare fuori questo ricordo.
Di stupirmi, di soffrire in barba alla gerarchia del dolore in cui fermamente credo.

Fabrizio, che tu possa avere pace, ora.

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