La prima frase l'ha scritta una mia compagna di corso, Federica, durante un'esercitazione. Poi mi è stata assegnata per inserirla nel contesto di un mio racconto.
Il primo pensiero è stato: "e adesso che ci faccio con tutta questa vita?".
Ecco cosa ci ho fatto.
“L’auricolare blu pende dalla tasca della sua giacca a quadri, io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Gaber si mescola alle voci e ai suoni che la circondano. Sorride di nuovo, che strano accostamento: Gaber a Berlino.”
“L’auricolare blu pende dalla tasca della sua giacca a quadri, io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Gaber si mescola alle voci e ai suoni che la circondano. Sorride di nuovo, che strano accostamento: Gaber a Berlino.”
Chiudi quel diario, smetti di rileggere quelle vecchie parole. Avevi solo 20 anni e non capivi niente: non capivi le persone, non capivi la musica, né tantomeno le città.
E soprattutto non capivi le ferite, perché
Berlino è quello: Berlino è una citta ed è anche una ferita. Una ferita che l’ha attraversata e la
attraversa ancora da parte a parte, ma tu a vent’anni non lo sapevi.
Le ferite
però sapevano un po’ di te, ti
conoscevano, a loro piacevi. E a te piacevano loro. Seguivi con curiosità la
lama che si faceva rossa, trattenevi il fiato durante l’attimo in cui i lembi
della pelle diventavano bianchi per poi
d’improvviso ricoprirsi di sangue. E col sangue giungeva anche lo stupore.
Perché ogni volta ti sorprendevi di quanto rosso avessi dentro.
Lo facevi solo per lui, era la tua esibizione per un
unico spettatore mai pagante, lo facevi per mostrargli tutto
di te, anche il rosso denso che ti riempiva. Per mostrargli tutto quello
che non gli avresti mai dato.
Volevi solo cavare da quegli occhi neri ed immobili un
lampo di una qualsiasi luce. Ma le sue orbite erano scure e quello che
contenevano appariva avido e vuoto, così vuoto che ogni volta che ci cadevi dentro ne riemergevi a fatica e
lentamente riprendevi piano a respirare.
Esiste qualcuno che ha dovuto imparare a respirare? Tu sì, di
certo.
Ed ogni volta che
il sangue perso era troppo, perdevi anche i sensi e con loro il senso di quello
che stavi facendo. Ma quegli occhi erano
l’unico vuoto da cui valeva la pena farsi riempire.
Ed era allora che il
fiato se ne andava lasciando il posto alla paura e con lei anche alla smania
stupida di non voler morire, di rimanere
aggrappata a quella vita che ti ostinavi a voler scacciare via lontano da te.
Perché avevi solo vent’anni e non sapevi come vivere e così le ore, i giorni, i mesi te li lasciavi scivolare addosso, come l’acqua sotto la doccia, come delle mani nuove ed appena conosciute lungo la schiena.
Hai chiuso quel diario? Non ancora? Fallo, per favore. Ricordare
la te di tanti anni fa, quella che si sentiva libera vagando senza metà per la
città, che costeggiava il muro e lo faceva
sfiorandolo con le dita come si fa con una ferita, provando ad immaginare il
momento esatto in cui è stata inferta, la te che viaggiava sui pullman di notte
dispiaciuta dal non riuscire a provare paura. Ricordarla, non ti aiuterà a
sopravvivere a questa notte.
Stanotte sono tornati i fantasmi e il tuo spettatore ha
acquistato un altro biglietto, forse l’ultimo
“Sono a Berlino, vediamoci”, ti
ha scritto.
Ma tu lo sai che dell’altra vita sono rimasti solo
piccoli e patetici segni orizzontali sugli avambracci e ci potresti giurare, il
vuoto nero dei suoi occhi.
Chiudi quel diario, perché il resto, tutto quello
che i tuoi vent’anni riuscivano a contenere, non esiste più.
E’ un fantasma quello che torna da te sicuro di trovarti immutata ed immobile, pretendendo, dopo tutto questo tempo, di riempirti ancora di vuoto. Come è possibile, se tu cambi ogni ora?
E’ un fantasma quello che torna da te sicuro di trovarti immutata ed immobile, pretendendo, dopo tutto questo tempo, di riempirti ancora di vuoto. Come è possibile, se tu cambi ogni ora?
Chiudi gli occhi, trattieni il respiro, aspetta il
bianco, sorridi.
Il tuo sangue ha cambiato colore, lo avresti mai detto?
Il tuo sangue ha cambiato colore, lo avresti mai detto?