lunedì 21 luglio 2014

Amico immaginario (non sono immaginario)

-carta da parati vecchia e rovinata- Google- 



C'è questo fatto che i personaggi per me possono essere intercambiabili, possono anche non esserci forse. Quello che conta davvero è ciò che provano.

O semplicemente il personaggio sono quasi sempre io, sono in ogni altra persona che descrivo, così come chiunque può essere me e non me la sento di dire "questo non potrei mai esserlo", questo vorrei non esserlo mai, al limite, quello sì, quello posso dirlo. O devo. O dovrei. Vabbè.

I personaggi. 


Descrivete un personaggio che vorreste essere o che non vorreste essere mai. Ma non qualcosa che siete realmente.

E chi sbuca? 

Lui.
Sono passati così tanti anni dalla prima volta che l'ho incontrato, durante un volo di Pindaro, uno dei tanti.
Poi l'ho ricercato, ho cercato di capirlo, di chiarirmi le idee su di lui, ho cercato di dargli un nome ed una faccia. Ho cercato di fermarlo da qualche parte ma niente. Tutto inutile.


È coerente col suo non voler essere una presenza costante al punto da farmi dimenticare di lui.

Ma oggi è tornato in un baleno e non ho sentito scuse, l'ho fermato, l'ho guardato negli occhi sempre bassi e fastidiosamente sfuggenti e l'ho costretto a rimanere con me per qualche secondo. 

Uomo, 30 anni, magro, solitario, scuro, un po' sociopatico, nessun rapporto con la famiglia, qualche amico con cui però non esce mai.
Forse si droga, ma niente di serio.

Un cane, che è l'unica occasione per uscire di casa, tre brevissime volte al giorno.
Università abbandonata, troppo incostante per avere una qualsiasi relazione umana.
Ormai quasi completamente disinteressato al sesso.

Ecco le visioni. Un ronzio che anticipa sempre un flashback.
Pochi minuti di assenza in cui vede -letteralmente- con gli occhi di un'altra persona, di una ragazza,  per l'esattezza.
"Assorbenti, make-up, discoteca affollata, cocktails con amiche, sesso con un uomo durante in quale vede soltanto la spalliera del letto."

Niente che potrebbe veramente essere nel suo campo visivo o nella sua mente.

Eppure ci sono: ronzio e flashback.
Diventa tutto quasi piacevole, una curiosa abitudine.

[Senza sapere che nell'appartamento accanto, a "lei" succede la stessa cosa e i suoi, di lei, flashback sono

"carta da parati vecchia e rovinata, tv accesa su televendite notturne, un cane, un telefono che nessuno ha voglia di usare, cartine e tabacco."]

Nell'ultima immagine, "lui" è steso a terra, sotto casa.
Non sappiamo se è morto, certo è che è stato investito da un ultimo, beffardo, flashback.
[Come?]


Lui vede un altro uomo con un cane in mezzo alla strada, "forse gli chiedo da accendere", pensa...immenso sforzo di socialità...

Lei è alla guida della sua macchina, non esattamente lucida e ne vede un'altra venirle incontro, si spaventa e perde il controllo.

Bum.

[sta roba gira, gira, gira come una macchina che gira, gira, gira sul GRA di Roma, un GRA insolitamente vuoto aggiungo, e che non riesce ad imboccare un'uscita.
E così, nello stesso sterile modo, gira, gira, gira da anni, questa storia nella mia capoccia.
Io ero lei, ma oggi ho scritto di lui.
Non sono mai riuscita a metterlo per iscritto, questo non è tutto, non è molto ma è un sunto, frutto di 20 minuti di esercizio al corso di scrittura creativa delle Balene.
C'è pure una musica da metterci sotto, che è  questa. Trovo che sia antica il giusto.] 



giovedì 17 luglio 2014

Il ponte bipolare nella Berlino dei pensieri.



Google immagini "Ponte bipolare"

Il ponte dei pensieri.


Che immagine vi viene in mente con un titolo così?
A me è venuto in mente, da brava razionale, un ponte su cui si pensa mentre per la mente che ha partorito questo titolo, era più un ponte fatto di pensieri.


Per la prima volta nella mia vita ho partecipato ad un laboratorio di scrittura creativa e il primo esercizio è stato "pensate ad un titolo, il primo titolo che vi viene in mente. Fatto? Bene. Ora date il titolo alla persona che vi siede accanto. Lavorerete sul titolo pensato dall'altra. Avete circa 10 minuti."

E così è stato. 

Ed io ho scritto questo:


La sera rincaso sempre alla stessa ora.

Ed è sempre alla stessa ora che mi fermo su questo ponte che attraversa il canale.
L'aria è salmastra ma a me sembra fresca, sarà che arrivo qui sempre dopo 8 ore di ufficio e quasi una di treno.

Mi fermo sul ponte: è il mio vezzo, la mia piccola libertà.
So bene che dovrei sbrigarmi a rincasare, che non ho ancora preparato la cena, i bambini reclamano e il cane deve fare pipì ma mi concedo sempre il lusso di fermarmi su questo ponte.
Dove l'aria è salmastra e fredda e verrebbe facile pensare.


Io non lo so se penso, me ne sto lì impalata, a guardare il fiume, ad annusare l'aria.
Anzi, il mio vezzo è proprio provare a non pensare, il mio esercizio è sentire, soltanto sentire. Sentire, ad esempio, la terra che sotto ai miei piedi, vibra al passaggio del treno.

Vado.


Se mi piace? Certo che no.
Difficilmente mi piace ciò che scrivo e soprattutto non ho mai pensato né voluto scrivere niente su un ponte dei pensieri, il mio titolo era Berlino Bipolare. Bello, no?

E poi non so scrivere a comando e non so scrivere racconti di fantasia. So scrivere solo di quanto stia bene, stia male, di quanto intensamente e come stia vivendo qualcosa.

Eppure, qualcosa è uscito.

Eppure, pensando a questo ponte dei pensieri mi è venuto subito in mente un ponte di una stazione della S-Bahn qui a Berlino, una stazione ad Ovest: West qualcosa... Westend o Westkreuz non ricordo bene, ponte su cui non mi sono mai fermata a pensare ma che è stato uno dei primi posti che ho visto qui a Berlino lo scorso anno, non appena trasferiti.

Non è il ponte di Warschauer strasse, nè il famoso 
Oberbaumbrücke, è un posto come un altro, un posto che nessuno va a visitare, un po' anonimo forse.
Ma è arrivato in soccorso e così in dieci minuti ecco venuto fuori un raccontino di senso compiuto.
Io mi ci sono fermata, su quel ponte, ed ho provato a non pensare. Proprio come lei.

Sono soddisfazioni.

Chissà cosa avrei scritto, seguendo la scia della Berlino Bipolare che mi era venuto in mente.
Perché Berlino lo è un po' bipolare: la modiva e la quiete, l'est e l'ovest, il passato e il presente.
E pure io sono un po' bipolare, sarà per questo che ci sto bene a Berlino.

Per esempio, ora ho voglia di cambiare discorso. E mi piacerebbe mi seguiste in questa svolta improvvisa, è facile.

Per esempio l'epilessia. 

L'epilessia di qualcuno che amiamo, potrebbe essere definita come cura contro l'ansia?!
Almeno nel mio caso sta funzionando più o meno così, il mio dover avere tutto sotto controllo se ne va in fumo in una manciata di elettrici secondi.

Un momento prima il tuo cane è lì con te sul letto, sul divano o per terra, forse sta riposando. 

Ed un attimo dopo parte in chissà quale mondo lontano e tu non puoi fare altro che intervenire alla svelta col farmaco ed aspettare. E poi sperare che torni da te il prima possibile. Poi qualche secondo ancora in cui cerca di capire chi è e cosa gli è successo e si aspetta ancora quella manciata di secondi, sperando fortemente che la smetta presto di guardarti come se non ti riconoscesse e poi via....feste a non finire, come se non ti vedesse da anni.
Chissà, forse davvero non ti vede davvero da anni, dopo una crisi.


Niente più piani, niente certezze, può avvenire in un qualsiasi momento.
Niente "pensieri magici": è successo perché ieri gli ho dato due bastoncini in più o perché i vicini hanno esultato per i Mondiali. 

No, macché, non c'è logica alla quale attaccarsi: arriva e basta. 

E nel frattempo ti insegna ad aspettarti tutto e ad essere pronta, a tutto.
E nel frattempo, tutto prosegue e siamo arrivati ad un'altra estate in cui tutto è diverso dalla precedente.
Ponti compresi.


martedì 1 luglio 2014

Un anno normale.

Entra il blu, esce il rosso.
Così ho affrontato quel travaglio che mi portava ad abortire, perché i dolori ci sono stati, inaspettati e forti e chissà come chissà perché, mi è venuto fuori qualche rimasuglio di yoga, palestra, non so nemmeno io bene cosa e mi ha salvata con questa respirazione.

Il blu, che era già venuto fuori parlando con la mia psicologa.

Il blu che è anche il nome del mio adorato canetto Blu.
Che pare corrisponda ad un Chakra specifico. 

Il blu mi ha salvata. E anche Blu, mi ha salvata. 
Blu, col quale sento di avere un legame sempre più forte, grazie anche ad Ilaria, educatrice cinofila/ormai amica che abbiamo incontrato qui e che ci sta aiutando tanto, soprattutto sta aiutando me a non farmi soggiogare dal legame forte che ho con lui.
Legame così forte che mi ha portata a telefonare ad Andrea, durante un comunissimo sabato in cui ero a lavoro e mi prendevo una pausa,  proprio mentre Blu stava avendo una crisi epilettica. Sarà un caso, ma io penso che si tratti di un legame inspiegabilmente forte. Come se mi avesse chiamata, ecco.
E' stato orrendo, tutto è crollato di nuovo, proprio mentre ci stavamo per rialzare, ecco che crolla tutto di nuovo. La reazione c'è stata, immediata e decisa, mi sono fatta aiutare certo da persone stupende che un anno fa non sapevo nemmeno esistessero e senza le quali non ce l'avrei fatta.
Da Heidi che è un angelo custode.
Per fortuna sembrerebbe essere stato solo un episodio, speriamo fortemente che non si verifichi mai più ma di nuovo, dopo pochi mesi, mi sono vista sbattere in faccia l'imprevidibilità, l'impossibilità di avere tutto sotto controllo, il fatto che non si può essere sempre in salute e che sì, esiste pure la morte. O l'ipotesi della stessa.


Non so quanto sia passato dall'aborto, forse un paio di mesi, so però per certo che è passato un anno (e spicci) dal nostro arrivo a Berlino.

Una macchina, un furgone, noi, i nostri cani, i nostri accompagnatori e tanti scatoloni: niente di complicato a ripensarci, ed invece cavolo se è stato complicato organizzare il tutto continuando a lavorare, pregando di avere il meritato stipendio (niente liquidazione, che scherziamo?!) riuscire a salutare tutti (impossibile), non farsi scappare una lacrimuccia (altrettanto impossibile), continuare a dirsi "stai facendo la cosa giusta".

Un anno fa mettevamo piede a Berlino, a Charlottenburg per l'esattezza, dove 
ad aspettarci c'era solo Alessandro mio cognato ed eravamo carichi di tutto e  ci accingevamo a trascorrere una serata assurda con tanto di polizia alla porta di casa per una canna fumata in balcone, vabbè ma questo è solo un colorito aneddoto.

Ma nemmeno nelle fantasie più recondite avrei potuto immaginare un bilancio così positivo e per positivo no, non intendo tutto rose e fiori, ma positivo nel senso di fattibile, possibile, con margine di costante miglioramento.

Andrea che trova lavoro in un giorno.
Noi che troviamo casa con un contratto per tre anni dopo nemmeno un mese.
Io che dopo nemmeno un anno supero brillantemente il livello B1 in tedesco ed ora lavoro a contatto col pubblico parlando solo questa strana lingua.
Che lavoro, tra l'altro, in un posto gestito da persone deliziose, simpatiche, che mi aiutano col tedesco e che mi fanno sentire a casa.
Io che ho quindi, ben due lavori e che fatico un decimo di quando ne avevo solo uno.
Un aborto di mezzo e un'esperienza di quasi cinque mesi di gravidanza, due dei quali molto difficili, durante la quale sono stata aiutata da una sanità eccellente.
Delle persone speciali e bellissime.
La possibilità di avere una vita sociale.

Ci sono anche le cose negative ma non mi piace elencarle, sono in ogni giorno, in ogni frase, fanno parte della quotidianità, se mi fermo a pensarci ne esce una anche adesso ma perché dovrei soffermarmici proprio ora? Ora no.
Tanto sono sempre qui.
E chi non arriva a percepire questo ed ha bisogno di leggere la lamentela o peggio, l'elenco di lamentele, non ha niente da dividere con me.
Il mio bilancio è super positivo e rifarei tutto domani.


Lo so che questo non piacerà a chi è qui da un po' e scoraggia gli altri perché trasferendosi invece che 10 scatoloni di libri come ho fatto io, s'è portato dietro un orticello.
E sia chiaro, parlo di scoraggiare in modo stupido, non sensato, banale: è verissimo che è difficile, che senza lingua non fai nulla, che per riuscire ad avere una casa in affitto devi fare i salti mortali (o più semplicemente devi dimostare di essere affidabile economicamente), ma se ce l'abbiamo fatta noi e tanta altra gente, come si può dire che è impossibile?



Poi non piacerà nemmeno a quelli che stanno qui, stanno bene qui ma fa tanto figo denigrare il posto in cui vivono e in cui stanno bene o in cui stanno meglio. Perché se ci stai, mi viene da pensare che tu ci stia meglio, oder?

Poi non piacerà nemmeno a chi è ancora in Italia e giudica le mie parole faziose, scoraggianti,  non piacerà a chi mi ha accusata (non ridete) di essere passata dalla parte del colonizzato, a discapito del colonizzatore. Gente che mi conosce anche un po' eh, ma niente, quando la capoccia fa corto circuito succede pure questo.
A chi afferma che scappare è facile, resta e lotta. Come se avessero mai davvero lottato. 
Come se mi fosse mai venuto in mente di dire che chi rimane sbaglia, come se mi fossi mai permessa di giudicare. Ma che cazzo ve dirà la testa, boh.

Non piacerà a chi ama vedere "le case crollare", ma pazienza.

So invece che piacerà a Giordano, a Betta, a Giustina, a mia sorella, ai miei genitori, a Laura e Chiccola, a Ramona, a Fabri, Gio, Fabio ed Emi, a Simona, a Ginevra, a Massi e Sara, Claudio e Francesca, Davide e Jenny, a tanta gente che conosco (ancora) solo virtualmente e poi basta perché è impossibile elencare tutte le persone che ci sono state vicine senza dimenticare qualcuno e fare quindi una figura di merda. Piacerà a voi, che state ridendo, che siete felici per come ci sono andate le cose e ci siete stati accanto quando le cose andavano male.

Ora mi vesto e mi preparo, ho una lavatrice da ritirare, c'è il sole e più tardi vado dalla psicologa perché quella serenità che leggete spesso, che vi fa gioire o vi infastidisce, che non capite, che deridete, alla quale non credete o che invidiate, non è altro che un lavoro. Un durissimo e quotidiano lavoro.