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giovedì 23 aprile 2015

Duemilaquattrocentosecondi



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E’ ormai notte fonda e tutto è solo un ricordo, ricordo che  però non arriverà mai ad essere lontano, che anzi si fonderà con altri giorni ed altre ore pur rimanendo per sempre altro, per sua natura terribile.
Le ore hanno fatto da spartiacque e adesso non rimane che compilare qualche modulo prima di cercare conforto nel buio.
Perché non c’è altro che si possa fare. Non più.

Soltanto una manciata di ore prima Luca  era stordito dal profumo del Ponentino. Gliene avevano parlato gli occhi pieni di pagliuzze dorate di una ragazza romana, che quella sera riflettevano il fiume di una città che non era la sua, quella sera , forse l’unica, in cui lui non sapeva ancora che l’avrebbe amata fortemente.

Gli occhi di Mia raccontavano le contraddizioni e gli odori di una Roma che non l’avrebbe lasciata mai in pace, che sarebbe rimasta sempre tra la sua lingua e i suoi denti, nascosta dietro ad ogni parola.

Ma fino a quella mattina di maggio lui non era riuscito a capire davvero il senso di quella città.  
E invece aveva voglia di capirla, a fondo,  perché farlo avrebbe significato entrare in lei ed era l’unica cosa che desiderava davvero.

Così, l’invito al matrimonio di un amico d’infanzia di Mia, gli sembrò l’occasione perfetta per conoscere quelle due strane e nuove creature: una donna e la città che l’aveva vista crescere.

Porta anche Lolli

disse lei istintivamente mentre prendevano un caffè pianificando il viaggio e in quel momento a Luca non sembrò così folle l’idea di affrontare 600 km con una donna che conosceva da poco tempo, pur essendone già dipendente e con un bambino di 3 anni che invece dipendente lo era da lui, dal suo papà, nonostante le gambette corte ed incerte lo portassero spesso lontano, ad esplorare con sguardo curioso quel mondo troppo grande per i suoi occhi piccoli.

Giunti nel casale dove di lì a poco si sarebbe svolta la cerimonia i tre si prepararono: lui perse parecchio tempo nel provare ad infilare le scarpe eleganti al piccolo, tanto che  alla fine optò per le solite Kickers ormai sformate e lei per caricare di eyeliner nero i suoi occhi, consapevole però che non era c’era bisogno di quello perché lui ci si perdesse dentro.
E così ebbe inizio la serata tra cibo, vino, musica e chiacchere.

Luca ascoltava rapito i racconti di Mia che lo inondava di ricordi descrivendogli ogni angolo di quella città che osservavano dall’alto della terrazza: lavori, primi appuntamenti, strani incontri, la sua famiglia, il suo gatto, tutto gli appariva familiare.
Le parole di lei lo trasportavano placide sul fiume di quella vita in cui lui non era nemmeno pensiero.

Si distraeva solo per controllare Lolli che curioso si aggirava tra i tavoli, mangiava servendosi con le mani sporche di terra direttamente dal buffet e beveva grandi sorsate di succo di frutta nonostante la mamma e cioè la sua ex compagna, si fosse raccomandata di non fargliene bere troppo se non voleva accompagnarlo  in bagno ogni 5 minuti.

Ma Mia era così interessante e la sua scollatura così accogliente che Luca facendo con la testa ad ogni sua frase, si immaginava nell’atto di appoggiare l’orecchio al suo seno, per sentire il suo respiro innalzarsi,  fino ad arrivare con le labbra lì dove lei avrebbe avuto un sussulto.

Papà, posso andare giocare coi pagliacci?!”

Luca si voltò schiarendosi  la vista che il Pinot Grigio gli aveva reso annebbiata e in pochi secondi mise  a fuoco due clown: una ragazza alta e magra e un ragazzo di media altezza.
Il trucco era perfetto e così l’abbigliamento  e come da tradizione i due non parlavano ma comunicavano a gesti e grandi sorrisi.
Solo lei, in via del tutto eccezionale infranse la regola del clown ed usò la voce per chiedere ai genitori se i bambini potevano  seguirli per giocare insieme, una sola breve frase e poi riprese quel linguaggio sfarzosamente silenzioso fatto di passi lunghissimi e gesti ampi.

Così Lolli insieme ad altri 5, 6 bambini seguì i due e Luca riuscì a vedere il punto esatto in cui si sistemarono: i bimbi in cerchio e i due clown davanti a loro, pronti ad intrattenerli con palloncini  che di lì poco avrebbero preso la forma di cani e spade e giochi che li avrebbero fatti urlare di gioia e saltare dall’emozione.

Nell’andare via rumorosamente formando uno squinternato trenino che gli ricordò i Bimbi Sperduti di Peter Pan, Luca notò che il clown maschio si voltò e gli rivolse uno sguardo leggermente più lungo del normale, lui lo sostenne  assumendo un’espressione seria ed incuriosita e l’altro distese la bocca lasciando scoperti dei denti giallissimi.
Una specie di ghigno traverstito da sorriso che lo fece rabbrividire per un attimo.

Si avvicinò la sposa, una specie di fata degli elfi, scalza con morbidi boccoli castani lungo le spalle nude

“i ragazzi sono bravissimi, vedrai il tuo bambino si divertirà moltissimo. Lei ha già lavorato al matrimonio di mia cugina. Avete assaggiato la crema fritta? È favolosa. Divertitevi ragazzi, a dopo

disse tutto d’un fiato, da copione, come avrebbe detto a prescindere dall’interlocutore, come quando in un giorno sognato così a lungo ci si ritrovava a dover parlare con tutti e cento gli invitati, con o senza voglia.

Luca apprezzò il gesto ed anzi si sentì rassicurato dalle referenze dei due ragazzi, Lolli era piccolo e scapestrato e lui sperava di non dover litigare con nessun genitore, non dopo il fine settimana scorso quando dovette staccare il figlio dalla guancia di un compagno di giochi colpevole di avergli preso una macchinina.

Mia si era spostata a parlare con un tipo alto e ben piazzato e Luca paziente ne aspettò per un po’ il ritorno continuando a bere e  facendo fare ai suoi occhi la spola tra lei e il gruppetto di bambini urlanti e pensando a quale potesse essere il motivo che spingeva degli adulti a doversi vestire da pagliacci per far divertire dei piccoli indemoniati e  poi di nuovo tornava a Mia che con una mano teneva il bicchiere e con l’altra giocherellava con la collana e rideva e si spostava col corpo in avanti e poi rideva ancora mettendosi la mano davanti agli occhi e di nuovo parlava fitto fitto con il tipo alto.

Andiamo a fare un giro nel parco?” le chiese, avvicinandosi e lanciando uno sguardo che non lasciava speranze al  coraggioso intruso.
Lei sorrise come a dire “sapevo lo avresti fatto” presentò i due, si congedò e prendendolo sottobraccio si allontanò con lui verso il parco.

Passarono vicino ai bambini e Luca disse a Lolli di non muoversi e rimanere sempre con i pagliacci, lui sembrò averlo capito ma lo spettacolino in quel momento era troppo interessante per rispondergli.

Luca e Mia si baciarono, come da copione, nascosti nel folto di un parco che non sembrava possibile essere al centro di quella città nevrotica eppure seduttiva.
Si baciarono ancora, si misero le mani tra i capelli e sotto i vestiti, con una frenesia che nessuno di loro provava  da tempo e in quel modo che è quasi mangiarsi avvicinarono i loro corpi fino a sentirli avvampare.
Nessuna sorpresa, sapevano entrambi che sarebbe successo, aspettavano solo l’occasione giusta.
Poi passò quel tempo che non si sa mai quanto è, che avresti detto dieci minuti ed invece è mezzora oppure un’ora.

Un’ora e mezza!
Cristo, Lolli!

Luca e Mia tornarono indietro correndo e nello scoprire che c’erano ancora quasi tutti gli invitati e che la festa era ben lungi dal terminare, tirarono subito un sospiro di sollievo.
Ma il sollievo durò poco: si diressero velocemente verso i due clown circondati dal gruppetto di bambini che però non era più un gruppetto. Erano solo tre. E tra quei tre, Lolli non c’era.

Una morsa di terrore strinse lo stomaco di Luca ma con calma chiese alla ragazza
dov’è Lolli?

Lei, che non avesse avuto la faccia truccata di bianco, sarebbe impallidita, si guardò velocemente intorno e disse
Ehm, non lo so. Ha detto che doveva fare pipì e che poi sarebbe tornato da lei.

L’uomo, d’istinto cercò con lo sguardo il clown maschio che era di spalle intento a sistemare nelle borse colorate giochi ed attezzi , questo si voltò e di nuovo gli rivolse quel ghigno che ormai non aveva più dubbi, era malefico.

Ma l’avete mandato da solo? Ma siete pazzi? E’ piccolo.
Ma noi non ci siamo presi mai la responsabilità del bambino, i genitori stanno sempre qui intorno, passano a guardare, lei è sparito! Ho pensato che il piccolo l’avesse trovata.

Nel centro esatto del triangolo che vergogna, terrore e rabbia formavano, Luca si mise a cercare il suo bambino ovunque, col cuore in gola, le mani sudate e la mente invasa da immagini catastrofiche e cruente, i film horror che avevano accompagnato tante sue serate gli presentavano ora il conto tornando sotto forma di terribili fantasie.

Tornò al tavolo del buffet, guardò vicino al palco sul quale suonava ancora il gruppo, corse alla terrazza e premendo i pugni sopra il marmo ormai freddo del cornicione, istintivamente guardò giù.
Nulla tra le siepi, nulla sulla strada. 
Luca pianse per il sollievo di non aver trovato il corpo del suo bambino schiantato al suolo e per la disperazione di non sapere dove cercarlo. Gli tornò in mente il ghigno del clown e fu lì che pensò al peggio, che si preparò a veder morire una parte di sè. Si morse le labbra fino al sapore ferroso del sangue e le odiò e con loro odiò il mondo in cui entrando in quelle di Mia gli fecero perdere la cognizione del tempo e l’unica cosa che davvero contasse nella sua vita, l’unica cosa buona che aveva fatto: quel bambino buono e curioso dagli occhi blu.

Prese il cellulare e chiamò la polizia pronto a denunciare la scomparsa, erano passati quaranta minuti ed avevano guardato ovunque, chiesto a tutti, pensato ad ogni eventualità.

Il brusio che si levò all’improvviso spezzando in due quel silenzio di morte, lo fece voltare lentamente e tra le lacrime intravide due figure: un adulto, forse una donna, che teneva per mano un bambino.
Fu lì che la mente si fece inganno e si divise in due metà esatte: una parte era convinto di averlo ritrovato e l’altra invece voleva credere che si trattasse di un altro bambino e non certo di Lolli.
Perché Lolli non c’era più, era scomparso e con lui tutti i bambini della terra, insieme a i fiori e  ai fiumi.

La  donna si fece più alta, lo sovrastò con la sua figura e lui, non avendo il coraggio di guardarle il braccio e seguirne la linea fino ad arrivare a quel bambino che di certo non era il suo, la fissò in un punto imprecisato in mezzo al viso.
Lei aprì la bocca dicendogli
“L’ho trovato che dormiva in una delle scatole in cui teniamo i giochi.” 
Non si era mai mosso di lì, si era addormentato.

Nel frattempo arrivò la polizia
è lei che ha denunciato la scomparsa di un bambino? Ci sono dei moduli da compilare
E di seguito, come una buffa ed inaspettata risposta, arrivò la voce del piccolo
Papà, andiamo a casa?
Luca ritrovò il battito perso del cuore e la saliva nella bocca, lo stomaco si distese ed abbracciando Lolli lasciò andare incubi o paure.

O almeno, fu ciò che in quella profumata e surreale serata romana credette di fare, perché in realtà quell’assenza, quel buco nero lungo duemilaquattrocento secondi, sarebbe tornata a trovarlo puntuale, ogni notte della sua vita.

lunedì 21 ottobre 2013

Un sabato d'ottobre in cui sono lontana.

Sabato scorso, per la prima volta, mi é mancata Roma.

E con Roma  non intendo le persone che ho lasciato lí, famiglia, sorella, amici perché quelli mi mancano ogni secondo. Ad ogni respiro.
Respiro che  si spezza quando ci penso o che  semplicemente mi accompagna come un costante brusio di sottofondo quando sono impegnata a fare e pensare ad altro.
E succede, volutamente, spesso.


Sabato mi é mancata proprio Roma e con Roma intendo la cittá.
Roma di sabato per l'esattezza: il fermento, i messaggi, l'appuntamento, il solito da una vita: ci vediamo alle 14,30 a Piazza della Repubblica.

E poi tutto quello che sappiamo, no?! I quotidiani illeggibili in mano, qualcuno con le bandiere, non noi. Noi siamo cani sciolti, da una vita.
La stampa, la piazza che si riempie. Tutti ai posti di partenza.

Parte il corteo, che facciamo aspettiamo un po' o andiamo?!

Andiamo va. 

Gli appuntamenti, i ritardatari, gli amici, i volti piú o meno noti. Partono i cori, quelle corsette odiose, non si corre per gioco, si corre solo se serve.

E poi, puntualmente l'aria si fa tesa.
Qualche fumogeno, quando va male parte un lancio di qualsiasi cosa e non solo, quando va bene solo gente che urla non correte, non correte  e per quanto tu sappia che hanno ragione, l'unica cosa che vorresti fare é proprio scappare.


E poi, quella sensazione di vita che scorre: sui volti tesi, impauriti, o solo felici. Adrenalina che si taglia col coltello tanto é densa.
Foto, foto, foto facendo attenzione a non ritrarre troppo chiaramente i volti, che non si sa mai.
I giornalisti che puntualmente inventano scontri anche quando non ce ne sono stati e lo fanno con il  solo fine di demonizzarli.
Stavolta pare essersi formato un movimento (un altro?!) che é in sit in a Porta Pia da due giorni.
Spero non faccia la fine degli Indignados di Santa  Croce in Gerusalemme, che volevano fare l'orto nelle aiuole della piazza e passavano ore per decidere chi doveva tenere il corso d'astrologia.
Manco fossero in autogestione.

Mi sono sempre chiesta chi abbia deciso che debba essere l'autunno ad essere caldo, certo ricominciano le scuole, ci si risveglia dal torpore estivo.
Ma si riesce a cadere nel torpore quando si é davvero disperati?!

Da qui, cosa che ho provato nel vedervi sfilare?!
Da un lato un grande senso di colpa. Come se vi avessi tradito, uno per uno, salvandomi.
Dall'altro la sensazione che le manifestazioni riuscite, come quella di sabato scorso altro non siano che (inutili) boccate d'ossigeno ad un paese al quale forse andrebbe solo staccata la  spina.

giovedì 10 ottobre 2013

Secondo lavoro a Berlin.

No, scherzo. Uhahuauhaauhuha
Cioé non scherzo ma non intendo creare un maniacale elenco di tutte le prime o seconde volte a Berlino.
State sereni e continuate pure a leggere.

È che quel lavoro nell'Hotel Leonardo non l'ho accettato: oggettivamente troppo pochi 2,50 a stanza e troppo poco umana la concezione di lavoro a cottimo, piú fai piú guadagni e la pausa pranzo la puoi pure fare ma mezz'ora é una stanza in meno che fai.

E sti cazzi! (alla milanese) Va bene che il lavoro nobilita ma la palla al piede no.

E cosí, chiedo ad un contatto facebook sulla mia stessa barca ed ecco che esce Cleanberlin.

Scrivo.
Rispondono.

Vado all'appuntamento in un posto fighissimo vicino East Side Gallery e pure se stai lí per fare le pulizie ti fanno sentire come se stessi lí per un posto da ingegnere.

Non c'é la sensazione stai qui senza sapere una parola di tedesco e stai elemosinando un posto per pulire le case di noi ricchi berlinesi, ma non ti vergogni?! 
Non c'é l'atteggiamento che per anni, in Italia, ho visto riservare a donne rumene o polacche.

É lavoro. Punto. E probabilmente in Italia per un posto da supercazzutohostudiatoventanniperquesto (ipotizzo) ti fanno sentire come uno che sta cercando di fregare lo stipendio
(per lo stipendio poi vedremo).

E invece...un caffè, una spiegazione chiara in inglese ed in tedesco con un'altra ragazza lí presente se eventualmente avessi avuto bisogno dello spagnolo!
E tutto questo solo per me perché di quattro che hanno chiamato sono l'unica ad essersi  presentata.
Poi dicono che a Berlino non c'è lavoro, vabbé.

Ma di cosa si tratta?! É una sorta di agenzia per donne delle pulizie organizzata tramite un accout gmail, attraverso il quale arrivano inviti di lavoro.
Chi, dove e quante ore. Se ti va bene ja, accetti altrimenti nein e qualcun'altra andrá al posto tuo.
Senza vincoli né problemi.
Per i primi due giorni che rappresentano una prova puoi solo accettare o meno le proposte dell'agenzia e la paga sará 8 euro nette l'ora su 15 lorde che il cliente paga.
Superato il test si ha accesso al calendario completo di tutti gli appuntamenti dove si potrá vedere prima la zona, poi tutti i dettagli ed infine accettare o meno. E la paga sará di 12,50 l'ora.

Se a fine anno si sará superata una soglia di guadagno (rilasciamo ricevute) si pagheranno le tasse attraverso un modulo che tra due mesi andrá acquistato al Comune per 26 euro.

Ora i contro: essendo una sorta di libera professione non si ha diritto all'assicurazione sanitaria che qui, sappiamo, essere privata e parecchio costosa.
Ma io sono fortunata perchè sono assicurata con quella di Andrea e la cosa piú sorprendente é questo io sono fortunata, affermazione che nella mia vita di prima era utilizzata esclusivamente con riferimento agli affetti, qui no.
Qui sono fortunata anche per una di quelle odiose pratiche di vita quotidiana che prima mi toglievano il sonno.


Ieri sono andata per la prima volta: due ore un mega ufficio al centro, un loft da 200 forse piú mq pieno di ragazzi biondissimi e gentilissimi che lavoravano a qualcosa di creativo nel loro attrezzato ufficio con tanto di doccia e cucina ultima generazione.
Etá media?! 27 anni, credo.
Vedremo come andrá, per ora mi sembra proprio perfetto per le mie esigenze.

Detto questo, le vacanze d'autunno sono agli sgoccioli, lunedí si torna a scuola e martedí ci aspetta un test di livello per passare da A1 ad A2 niente che possa fermare il proseguire della frequentazione ma insomma, pur sempre una valutazione, pur sempre un qualcosa che mi metterá di fronte, spero, ai miei miglioramenti o, spero di no, al mio essermi sopravvalutata.

Non riusciamo ancora ad avere una connessione a casa, ecco. Quindi sono in astinenza da serie tv, Skype, video ecc.
Ma mica puó andare sempre tutto bene, no?!

martedì 24 settembre 2013

Pioggia nebulizzata.

Avete presente Berlino?
Avete presente il suo Muro?
 Quello che è stato buttato giù ma ancora c'è, invisibile, e percorre in quel modo strano tutto la città?
Avete presente la "striscia della morte"? Quel pezzo di terra che non era né di qua né di là ma che se venivi sorpreso lì c'erano i fucili a sparare?
Ecco in una di quelle strisce della morte, a Mitte, c'è oggi il Mauer Park.
Il più grande? Non so, forse...di certo il più figo (almeno credo) Flohmarkt (mercato delle pulci) di Berlino.

Ci si trova di tutto: cibi, scarpe, vestiti, biciclette, suppellettili. E poi gente che suona ed un grande e partecipatissimo karaoke. E la cosa più figa è che chiunque può andare a vendere quello che vuole.
E allora ci abbiamo provato, io e una mia compagna di corso abbiamo preso un po' di cose che non indossiamo più o di cui vogliamo disfarci, collane e borse fatte a mano da lei, un tavolo, due sedie e siamo andate.
Ci siamo trovate un posticino e abbiamo iniziato a sistemare tutto, poi è arrivata una signora e ci ha chiesto i soldi: 8 euro al mq, abbiamo pagato e fine.

 Zero domande.
 Zero carte.
Zero permessi. La semplicità.


 Al di la di questo, la scuola prosegue a ritmo serrato. E a metá ottobre dovró sostenere un esame per passare dal livello A1 al livello A2, e mi sembra anche giusto dato che alla fine del corso superato l'esame, mi verrá restituitá la metá di quanto pagato fin'ora.


Mi piace, questa lingua complicata. Mi piace questo suono che diventa ogni giorno piú familiare, mi piace contare le parole che riesco a capire ascoltando le persone sul tram e notare che sono sempre di piú, ogni giorno di piú.


 Sul social network piú famoso del mondo mi é stata mossa una critica: racconto troppo di me e, probabilmente, con toni troppotroppo entusiastici ma d'altra parte, se uno ha tanto da raccontare perché non farlo?! C'é sempre l'opzione "non leggere" ma mi rendo conto che deve essere una tentazione irresistibile, quella di sbirciare nelle vite delle persone per poter trovare quel "qualcosa che non va", utile a farci sentire meglio.

Argomenti tristi questi, di poco peso rispetto all'enormitá dell'esperienza che sto vivendo, ma del resto sará la superficialitá a salvarmi.

 Ah, sto cercando un lavoretto, tipo pulire stanze d'albergo, roba da due giorni a settimana mentre finisco il corso di tedesco. Ed ho un discorsetto scritto a penna pronto per quando questa tipa si deciderá a rispondermi al telefono.

 Perché no?!

domenica 8 settembre 2013

Sogno di una notte di fine estate.

I ricordi che ho sono sbiaditi ma tutti gradevoli.
Un prato, gente rilassata, arietta fresca sulle braccia ancora nude.
Volti amichevoli, tra i tanti amici veri: mia sorella, la sua amica, il di lei fidanzato.
Senza starmi a dare troppe spiegazioni mi propone un gioco, un'esperienza e io non trovo motivi per dirgli di no.
Sarai cosciente ma non consapevole o consapevole ma non cosciente, non mi ricordo, vedrai e sentirai tutto ma non riuscirai ad impedire che tutto accada. Sarai lì ma naturalmente anche altrove e ti piacerà.
Mi ricorda tanto uno di quegli scherzetti che, tempo fa, mi tirava il sonno.

Ronzio, ronzio, ronzio. Paralisi. Voglio svegliarmi ma non ci riesco, tutto intorno a me prosegue e io sono prigioniera del mio sonno. Sveglia.
Nessun pericolo di vita imminente ma la sensazione di non essere padrona delle mie azioni, del mio sonno e della mia veglia, del mio corpo.

E siccome ad un certo punto ho imparato a riconoscere le avvisaglie dello scherzetto e a rimandarlo, evitarlo, fino a farlo sparire ecco che ora un po'mi manca e questa cosa che mi sta proponendo S. mi ricorda il mio vecchio gioco di gioventù.

Vai, sono pronta: S. prende una siringa e mi inietta il contenuto nel collo. Dall'odore sembra alcool puro, penso un attimo prima di andare. La partenza è immediata e l'effetto è quello temuto, desiderato, voluto: sono lì, vedo tutto, mi accorgo che mi stanno stendendo a terra ma non posso fare -nè probabilmente voglio- nulla.


Ora io non so dove abbia trascorso quei minuti, quale universo abbia esplorato, quale vita parallela sia andata a vivere, chi di voi abbia incontrato e sotto quali forme, cosa sia andata a sistemare e perchè. Se ci sia davvero riuscita. Quanto tempo abbia vissuto di la. Perchè quelli che di qua possono essere venti minuti, di la, si sa che possono essere venti anni.

Esattamente come l'Olivia di Fringe riemergo respirando forte. Come se avessi trattenuto il fiato. Sono tornata, posso svegliarmi.

sabato 7 settembre 2013

La routine.

E così pare davvero essere questa la mia routine.

Almeno sarà questa fino a che non inizio a lavorare e non che io non voglia lavorare, sia chiaro, solo che sto studiando molto intensamente e per UNA volta, UNA, voglio provare a fare UNA cosa alla volta, UNA. 
Perché è proprio questa la vera differenza tra prima e adesso. Tra qui e . Che qui posso permettermelo. 

Quindi, dicevamo, questa è la mia routine e mi piace tanto ed è abbastanza evidente: mercoledì ho finito il corso A1.1 e mi è sembrata una grossa vittoria, 100 ore in cui ho parlato, ascoltato, letto soltanto in tedesco cosa che solo un mese fa non avrei mai pensato possibile. Due giorni di stop e da lunedì si ricomincia con A1.2 e non sto nella pelle. 
Che se avessi studiato con tanta passione al momento giusto, adesso avrei quattro lauree e una cattedra all' Università. Non italiana probabilmente.

E poi il parco con le nuove amiche, una bottiglia di vino e raccontarsi di com'è la vita in Israele che fino a che non hai fatto il militare sei proprietà dello Stato e non sei una persona libera e mentre ti racconti in una strana lingua che non sai nemmeno tu bene quale sia, ti soffermi a sorridere davanti allo spettacolo di 5 bambinetti scalzi&biondi che ballano al ritmo di percussioni suonate da uomini con cani che raccolgono vuoti a redere che in Italia sarebbero meglio conosciuti come barboni o, se proprio sei tollerante&figo, punkabbestia.
E i genitori dei biondi&scalzi stanno lì e ballano pure loro e sorridono e sono tutti felici e con quell'aria assolutamente normale e distesa.

Proprio come il settantenne tuttonudo al lago che nessuno ha guardato per più di due secondi né tantomeno con aria infastidita e/o imbarazzata.
E io, arrossendo un po', non sono riuscita a non guardarlo di sottecchi e con un po' di imbarazzo, un paio di volte. 

IO, cittadina del Mondo. IO, donna libera. IO, che alla fine sempre all'ombra der Cuppolone sono nata e di uomini nudi al parco ne ho visti ben pochi. Diciamocelo.

E  poi la discoteca in cui il buttafuori ti chiede i documenti e tu perplessa gli chiedi: "cosa?!?!! Ma ho TRENTASEIANNI!" che documenti?! E alla fine glieli dai e gli vuoi pure un po' di bene, per quella botta di autostima.

E lo spicchio di sole delle 19 al parco di Rosenthaler e in tutti, tutti i parchi, in cui ci si fa più vicini per goderne, di quei raggi, fino alla fine.

Il macho turco che posso aiutarti? ad aprire la bottiglia di vino intende, e tu, in tedesco no, grazie è facile, e lui, no, non è facile e si mette, poverino, ad armeggiare con un cavatappi su un tappo che - come avevo ben visto e appositamente scelto- è a vite. E cosa avreste fatto voi?
Io l'ho lasciato fare e credere, voltando lo sguardo dall'altra parte, per evitare di vederlo affannato ed in difficoltà nel rendersi conto di aver fatto una cazzata.
E alla fine, quando l'ha svitato l'ho guardato di nuovo, ringraziandolo, per giunta. 
Soprattutto dello spettacolo divertente.

Il tram alle dieci di sera che sembravano un po' le otto e un po' le quattro di mattina.

La sensazione di avere tutto tra le mani. Tutto quello che l'Italia mi stava, giorno dopo giorno, in modo quasi impercettibile togliendo.
Perché quando torni a respirare a bocca aperta, ti rendi conto di quanto tempo sei stata in apnea. E di quanto fossi pericolosamente vicina al diventare cianotica.