lunedì 23 marzo 2015

Dovrei ingoiare la chiave che ti apre.

Oggi per un'ora ho avuto una chiave in mano, con la quale avrei potuto aprire una persona qualsiasi.
E io ovviamente ho immaginato sabbie mobili, vortici e pozzi profondi come occhi. E non l'ho usata, anzi mi sono ripromessa di inghiottirla, consapevole che forse non lo farò mai.

"E se ci finissi dentro come Alice nel pozzo, dal dolore mangerei tutto il fungo cercando di anestetizzarmi e diverrei minuscola e gigante al tempo stesso e sarei ovunque e in nessun luogo e poi imploderei, rimanendo solo briciole beccate da un tenero uccellino senza testa."

E quindi mi sono chiesta, possibile che nessuno si sia mai domandato come sarebbe andata se Alice avesse ingoiato tutto il fungo?

domenica 22 marzo 2015

Lamiavitain20minuti.

Erano due ragazzini che facevano l’amore in macchina, i miei genitori.
Lui operaio, lei commessa in un negozio di libri: 22 e 21 anni.
Sei bassetta perché t’abbiamo fatta nella 500” si diverte a ripetere ancora oggi mio padre in una delle sue mille battute tutte uguali che  mi strappano sempre un sorriso, seppur a volte esasperato.

Ma  a pensarci bene ne ho avuta un’altra di mamma, mia nonna Adriana, bellissima e formosa romana di Garbatella, con le labbra carnose, la risposta pronta e una profonda depressione che nessuno mai capì. E che mi amò e coccolò per tutto il tempo che ebbe.
Si racconta di me che a due anni piangevo di commozione guardando Heidi, che chiaccheravo troppo e che stavo ore nella libreria dove mia madre lavorava, seduta a terra a leggere libri che se mi concentro  sento ancora l’odore di carta e del legno dei vecchi scaffali: tutto torna.

E la scuola, dove non ho mai brillato per impegno ma dove sono sempre stata involontariamente leader. E sì che a me i leader mi sono sempre stati sul cazzo.

La comitiva, la primavera, il primo bacio dato in chiesa, il rossetto messo per le scale perché mio padre “se ti becco per strada col rossetto ti lavo la faccia alla fontanella”.

E le amiche che ho fatto soffrire e quelle che hanno fatto soffrire me e poi, in un pomeriggio d’inverno ecco che arriva lui.
Introverso, timido e sbruffone col CIAO modificato e un appuntamento al quale è stato in grado di arrivare con 25 ore di ritardo, sorridendomi ed infilandosi nei miei giorni,e non solo in quelli, per i 6 anni che avevamo davanti.
Le fughe nella casa al mare, il fare l’amore per la prima volta davanti al camino tra i cuscini colorati, il prenderci gusto, il non fermarsi più.
L’essere l’uno per l’altra fondamento e al tempo stesso distruzione degli adulti che saremmo divenuti un giorno. Lui, che ancora oggi è una delle persone più folli ed amorevoli che ho nella vita, che solo adesso, dopo 15 anni, posso frequentare senza sentirmi inquieta.

Poi l’improvvisa morte di mia nonna e con lei di una parte di me ma anche l’affermarsi di una realtà: io non ricoprirò mai il ruolo che la società proverà ad affibbiarmi, io non rinuncerò a nessun battito del cuore in nome di nessuna coerenza o stabilità. Io non sarò prigioniera dei miei giorni, nonna. So che se avessi potuto, me lo avresti fatto promettere.

Poi il primo amore che finisce e il ritrovarmi a 23 anni convinta di essere ad un passo dalla morte ed invece, posso dirlo? A 23 anni non si è proprio a un passo da nulla, si è solo una lavagna bianca e c’è soltanto da pregare che qualcuno ci scriva sopra nel modo migliore.

E via, si vive.
Si esce, si balla, si fuma, ci si droga, si va in coma etilico, ci si perde, si ascolta la musica, si viaggia, si scopa, si soffre, quanto si soffre, si scrive, si studia, non ci si riesce molto bene ma si legge (tanto), si gode, ci si trattiene (poco), si pensa (non sempre), ci si innamora più volte e c’è sempre un abisso profondo da cui riemergere però santo dio, che bello è stato affondarci, treni e lacrime sui binari.
Poi si parte per la Spagna e si torna. Poi si parte per un’isola e si torna.

Poi si incontra una persona diversa dalle solite, una persona calma, realizzata e serena e ci si dice “perché no?” forse vale la pena fermarsi con lui, forse l’amore non è sofferenza ma comprensione, condivisione, serenità. Forse.

Mio padre si ammala. Ah sì? E io mi sposo. No, non c’è un legame, non cercatelo. Andrò così: al mio matrimonio tenni le scarpe mezzora e mi vestii di verde.

E poi c’è la vita a Roma che diventa una camera a gas ma c’è anche una macchina e un “sì, andiamo” e poi c’è Berlino.

Poi c’è un bambino, un maschietto che arriva e se ne riva. O prova ad arrivare, di sicuro se ne va, una breve visita che diventa la fine dei miei giorni e subito dopo la possibilità di nascere nuovamente.
Perché nonna, non me la scordo la promessa che non ho fatto in tempo a farti: nessun ruolo, nessuna categoria.
Quindi ora la mia vita è il contenuto caotico di una borsa in cui ci sono cose molto preziose e qualche cosa inutile, l’ho rovesciato sul tavolo e lo sto osservando in attesa di decidere cosa farne.

Di lei e di me.

mercoledì 18 marzo 2015

"Il mondo è un posto bizzarro." (cit.)

"Te lo chiedi mai?"

Le domanda spegnendo la sigaretta sulla banchina della metro ed aggiunge, senza darle neanche il tempo di rispondere

"A dove va tutta questa gente."

"No, dovrei?"

"No, non dico che dovresti ma potresti. Io per esempio me lo chiedo spesso e quando mi sveglio presto per andare a lavoro ed incontro gente sfatta che torna dalle serate, cerco di immaginarmi cosa hanno vissuto, dove sono stati, con chi, a fare cosa, se si sono mai seduti su un divano di pelle a vedere il fiume che scorre e poi di colpo rallenta.
E poi, cosa avranno fatto una volta arrivati a casa? Dormire non è così scontato. Oppure al contrario, quando sono io a rincasare all'alba ed incontro questa gente che diligente va a lavoro, spero non si senta l'odore di alcol che mi porto dietro.Oppure il pomeriggio, guardando i bambini che escono da scuola mi chiedo se sono felici di tornare a casa, se poi faranno merenda come facevo io da piccolo o se avrabbero preferito rimanere a scuola.E quella ragazza così assorta, forse vuole solo rientrare a casa per vedere sette episodi di fila della serie tv che al momento le tiene le notti impegnate. E quale sarà? L'avrò mai vista?E poi, chi ride guardando lo smartphone? Io vorrei conoscere chi si è meritato quella risata. E chi legge un libro? Sarà soddisfatto di averlo tra le mani o è pentito di averlo iniziato ma ha difficoltà a lasciare la lettura a metà? Non sempre i loro volti lasciano trasparire qualcosa.E gli altri, i protagonisti delle mie quotidiane fantasie, cosa penseranno di me? Mi vedranno o per loro sarò solo un movimento sullo sfondo?Eh? Ci pensi mai?"

Arriva la metro, lei fa un passo verso la banchina. 

"Non me ne frega un cazzo" risponde. 

_____


Questo è stato l'esercizio di sabato scorso del corso de Le Balene, Mattia ci ha dato un titolo come input e basta.
Poi il giorno dopo ho aperto un foglio bianco, ho riscritto lo stesso titolo ed ho scritto un'altra cosa. Che nessuno leggerà mai. 

domenica 8 marzo 2015

Restiamo così.


Richiudo la porta, se mi annusassi le mani ora sentirei l’odore di ottone e di mille palmi che hanno toccato, prima di me, questa maniglia. Invece non ho il tempo di farlo, né di pensarci perché giunge dritto nella mia testa, un profumo di incenso e della cera ormai dura delle candele che una volta sono state profumate.
Faccio un passo e il gatto scappa appena in tempo, non lo calpesto e ne sono sollevata, mi sarebbe dispiaciuto sentire il verso sorpreso e dolente che avrebbe emesso.
Poggio la mia mano sull’interruttore e mi fermo a riflettere sui germi. Avevo una zia fissata con gli interruttori, li disinfettava almeno una volta al giorno, diceva che erano la cosa che più si sporcava in casa.
Sto per premerlo, sfidando i microbi e pensando che no, non ho mai disinfettato un interruttore in vita mia, quando sento una mano calda posarsi sulla mia.

Non lo fare” mi dice “Restiamo così

Quello che mi arriva è cuoio e tabacco, intreccio, senza capire ancora quello che sta succedendo, le dita tra le sue e rivolgo il viso dove dovrebbe essere lui. 
I centimentri che ci dividono non sono molti, posso sentirlo dal calore del suo alito che mi scalda il viso.

Ma che ci fai qui? Vuoi farmi morire?!
Stamattina quando sei uscita per andare  a lavoro non ho preso il treno ed ho deciso di rimanere qui ad aspettarti.
Al buio?” gli domando divertita.

Immagino, in quel nero che ci avvolge e divide, la sua smorfia, quella che dovrebbe essere un sorriso.

Da quando il sole è tramontato ho deciso di non accendere la luce. Ho rinunciato a leggere ma ho ascoltato la musica.”
Tu non sei normale.”
Mangiamo?” mi chiede lui.

Senza aspettare la mia risposta mi prende per mano e mi precede, dovrei essere io a guidarlo  ma per questa volta va bene così.
Percorro quei metri sfiorando la parete e cercando di mantenere l’equilibrio, almeno col corpo.
Seguo il bordo della stampa di Feltrinelli, quella che Francesco incorniciò di rosso e mi regalò per un Natale di secoli fa. La mia mente sale su un treno, percorre 600 km, scende alla stazione gli va incontro, lo abbraccia col cuore spezzato, poi riprende il treno e torna qui.
Stacco la mano dalla cornice ed ecco lo stipite, siamo arrivati. Mi avvolge un odore di pane e formaggio, salame, frutta. È tutto sul tavolo, posso intuirlo.
Lo immagino mentre apparecchia la tavola e organizza per me questa strana cena oscura, non riesco a stupirmi, del resto è da lui.
Sistema la sedia e mi fa sedere.

Sembri esperto” gli dico “mangi spesso al buio?
No e spero di non infilarti un’oliva nel naso” mi risponde.
Ridiamo.

E poi ci avviciniamo un po’ come se avessimo ancora bisogno di una scusa.
Alzo la mano e trovo la mensola e sulla mensola una candela che non potrò accendere ma l’annuso, perché è alla vaniglia e la vaniglia è il mio profumo preferito.
Allunga una mano verso di me, trova la mia bocca, ne segue il contorno e ci infila dentro un pezzetto di formaggio. Sa di miele.

Arrossisco ma nessuno lo saprà mai.