[era marzo, ero io]
Che me ne faccio io di questa chiave?
È evidente che non la userò mai. Tu sei una matrioska ed io
non ho nessuna intenzione di arrivare fino a quella bambolina minuscola,
l’ultima, per poi scoprire che non mi basterebbe e che vorrei aprire pure lei,
anche se dentro non c’è niente e lo sanno tutti, pure i bambini lo sanno che
quella non si apre ma si guarda soltanto. Probabilmente poi vorrei spaccarla.
Quindi, torniamo indietro, niente matrioska, non ti aprirò.
Oppure mi sbaglio, non sei una matrioska, sei solo sabbie
mobili che salterebbero fuori all’improvviso come un’attraente massa informe e
che venendo verso di me, senza darmi il tempo di scegliere, mi avvolgerebbero
entrando in ogni poro della mia pelle, fino a non avere neanche un centrimetro
di corpo libero, né un pezzo di gola in grado di succhiare dentro l’aria per
rimanere di qua.
Diverrei cianotica e strabuzzando gli occhi maledirei l’aver
ceduto alla possibilità di te e il mio ultimo pensiero prima di andare,sarebbe
il tuo involucro, saresti te prima di tutto questo.
Oppure no, mi sbaglio ancora. Se usassi questa chiave per aprirti, verrei
risucchiata in un vortice: sei un buco spaziotemporale, posso intuirlo
guardando in quelle cavità che ti ostini a chiamare occhi. E se ci finissi
dentro come Alice nel pozzo, dal dolore mangerei tutto il fungo cercando di
anestetizzarmi e diverrei minuscola e
gigante al tempo stesso e sarei ovunque e in nessun luogo e poi imploderei.
Rimanendo solo briciole beccate da un tenero uccellino senza
testa.
Quindi, tutto quello che dovrei fare è ingoiare la chiave.
Ma tutto quello che invece so è che non ho abbastanza acqua
a disposizione per mandarla già senza soffocare. Quindi?