Sono l'ultima abitante di un mondo dopo il mondo.
I miei occhi intossicati e gialli planano lievi sulle
rovine di ciò che per anni ho provato a distruggere, senza accorgermi che nulla
era mai stato integro.
Osservo dall'alto i percorsi che via terra non sarei mai riuscita
a trovare. Mi appaiono nitidi.
Alla mia destra il mare è ghiaccio che non si lascia
avvicinare, non mi arrendo. Provo ad entrare con la punta del piede e la
risposta è una lama affilata pronta a tranciarmi di netto le dita.
Ognuno cammina come
può, penso proseguendo la mia goffa passeggiata ai confini della mia
esistenza.
Mi sdraio e lascio che a massaggiarmi il corpo siano solo le
vibrazioni della terra. Ricordo quelle antiche, i bassi di una musica che non è
più parte del mondo. Mi arriva l’eco di esplosioni in lontananza, tutto trema e non conosco la paura.
Mi sdoppio, me ne vado eppure resto. Ed è lì dove sono che mi raggiungi in silenzio. Ancora una volta, quella che ha un nome che conosco e
si chiama Ultima.
Mi volto su un fianco, poggio la guancia sulla sabbia e sei
lì, ti entro in ogni poro della pelle: dammi una fine, una qualsiasi ma non mescolarmi a nessun’altra moneta.
Io e te, peso finalmente distribuito in orizzontale, esseri
enormi costretti da sempre su gambe minuscole e deboli. Goffi, impacciati,
impossibilitati. Chiudo gli occhi e li riapro, sei scomparso.
È il mio modo di restituirti libertà, è con un battito di ciglia
che ti libero da me, amen.
La realtà è una pianta che nessuno bagnerà più, che
sopravviverà a stento nutrita da occasionali ed acide piogge. Vorrei alzarmi ma
conosco a memoria la fatica che accompagnerebbe quel primo ed ultimo gesto, quindi
rimango qui, calamitata a terra durante una calamità, riderei, se solo mi
ricordassi di avere una bocca.
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