giovedì 23 aprile 2015

Duemilaquattrocentosecondi



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E’ ormai notte fonda e tutto è solo un ricordo, ricordo che  però non arriverà mai ad essere lontano, che anzi si fonderà con altri giorni ed altre ore pur rimanendo per sempre altro, per sua natura terribile.
Le ore hanno fatto da spartiacque e adesso non rimane che compilare qualche modulo prima di cercare conforto nel buio.
Perché non c’è altro che si possa fare. Non più.

Soltanto una manciata di ore prima Luca  era stordito dal profumo del Ponentino. Gliene avevano parlato gli occhi pieni di pagliuzze dorate di una ragazza romana, che quella sera riflettevano il fiume di una città che non era la sua, quella sera , forse l’unica, in cui lui non sapeva ancora che l’avrebbe amata fortemente.

Gli occhi di Mia raccontavano le contraddizioni e gli odori di una Roma che non l’avrebbe lasciata mai in pace, che sarebbe rimasta sempre tra la sua lingua e i suoi denti, nascosta dietro ad ogni parola.

Ma fino a quella mattina di maggio lui non era riuscito a capire davvero il senso di quella città.  
E invece aveva voglia di capirla, a fondo,  perché farlo avrebbe significato entrare in lei ed era l’unica cosa che desiderava davvero.

Così, l’invito al matrimonio di un amico d’infanzia di Mia, gli sembrò l’occasione perfetta per conoscere quelle due strane e nuove creature: una donna e la città che l’aveva vista crescere.

Porta anche Lolli

disse lei istintivamente mentre prendevano un caffè pianificando il viaggio e in quel momento a Luca non sembrò così folle l’idea di affrontare 600 km con una donna che conosceva da poco tempo, pur essendone già dipendente e con un bambino di 3 anni che invece dipendente lo era da lui, dal suo papà, nonostante le gambette corte ed incerte lo portassero spesso lontano, ad esplorare con sguardo curioso quel mondo troppo grande per i suoi occhi piccoli.

Giunti nel casale dove di lì a poco si sarebbe svolta la cerimonia i tre si prepararono: lui perse parecchio tempo nel provare ad infilare le scarpe eleganti al piccolo, tanto che  alla fine optò per le solite Kickers ormai sformate e lei per caricare di eyeliner nero i suoi occhi, consapevole però che non era c’era bisogno di quello perché lui ci si perdesse dentro.
E così ebbe inizio la serata tra cibo, vino, musica e chiacchere.

Luca ascoltava rapito i racconti di Mia che lo inondava di ricordi descrivendogli ogni angolo di quella città che osservavano dall’alto della terrazza: lavori, primi appuntamenti, strani incontri, la sua famiglia, il suo gatto, tutto gli appariva familiare.
Le parole di lei lo trasportavano placide sul fiume di quella vita in cui lui non era nemmeno pensiero.

Si distraeva solo per controllare Lolli che curioso si aggirava tra i tavoli, mangiava servendosi con le mani sporche di terra direttamente dal buffet e beveva grandi sorsate di succo di frutta nonostante la mamma e cioè la sua ex compagna, si fosse raccomandata di non fargliene bere troppo se non voleva accompagnarlo  in bagno ogni 5 minuti.

Ma Mia era così interessante e la sua scollatura così accogliente che Luca facendo con la testa ad ogni sua frase, si immaginava nell’atto di appoggiare l’orecchio al suo seno, per sentire il suo respiro innalzarsi,  fino ad arrivare con le labbra lì dove lei avrebbe avuto un sussulto.

Papà, posso andare giocare coi pagliacci?!”

Luca si voltò schiarendosi  la vista che il Pinot Grigio gli aveva reso annebbiata e in pochi secondi mise  a fuoco due clown: una ragazza alta e magra e un ragazzo di media altezza.
Il trucco era perfetto e così l’abbigliamento  e come da tradizione i due non parlavano ma comunicavano a gesti e grandi sorrisi.
Solo lei, in via del tutto eccezionale infranse la regola del clown ed usò la voce per chiedere ai genitori se i bambini potevano  seguirli per giocare insieme, una sola breve frase e poi riprese quel linguaggio sfarzosamente silenzioso fatto di passi lunghissimi e gesti ampi.

Così Lolli insieme ad altri 5, 6 bambini seguì i due e Luca riuscì a vedere il punto esatto in cui si sistemarono: i bimbi in cerchio e i due clown davanti a loro, pronti ad intrattenerli con palloncini  che di lì poco avrebbero preso la forma di cani e spade e giochi che li avrebbero fatti urlare di gioia e saltare dall’emozione.

Nell’andare via rumorosamente formando uno squinternato trenino che gli ricordò i Bimbi Sperduti di Peter Pan, Luca notò che il clown maschio si voltò e gli rivolse uno sguardo leggermente più lungo del normale, lui lo sostenne  assumendo un’espressione seria ed incuriosita e l’altro distese la bocca lasciando scoperti dei denti giallissimi.
Una specie di ghigno traverstito da sorriso che lo fece rabbrividire per un attimo.

Si avvicinò la sposa, una specie di fata degli elfi, scalza con morbidi boccoli castani lungo le spalle nude

“i ragazzi sono bravissimi, vedrai il tuo bambino si divertirà moltissimo. Lei ha già lavorato al matrimonio di mia cugina. Avete assaggiato la crema fritta? È favolosa. Divertitevi ragazzi, a dopo

disse tutto d’un fiato, da copione, come avrebbe detto a prescindere dall’interlocutore, come quando in un giorno sognato così a lungo ci si ritrovava a dover parlare con tutti e cento gli invitati, con o senza voglia.

Luca apprezzò il gesto ed anzi si sentì rassicurato dalle referenze dei due ragazzi, Lolli era piccolo e scapestrato e lui sperava di non dover litigare con nessun genitore, non dopo il fine settimana scorso quando dovette staccare il figlio dalla guancia di un compagno di giochi colpevole di avergli preso una macchinina.

Mia si era spostata a parlare con un tipo alto e ben piazzato e Luca paziente ne aspettò per un po’ il ritorno continuando a bere e  facendo fare ai suoi occhi la spola tra lei e il gruppetto di bambini urlanti e pensando a quale potesse essere il motivo che spingeva degli adulti a doversi vestire da pagliacci per far divertire dei piccoli indemoniati e  poi di nuovo tornava a Mia che con una mano teneva il bicchiere e con l’altra giocherellava con la collana e rideva e si spostava col corpo in avanti e poi rideva ancora mettendosi la mano davanti agli occhi e di nuovo parlava fitto fitto con il tipo alto.

Andiamo a fare un giro nel parco?” le chiese, avvicinandosi e lanciando uno sguardo che non lasciava speranze al  coraggioso intruso.
Lei sorrise come a dire “sapevo lo avresti fatto” presentò i due, si congedò e prendendolo sottobraccio si allontanò con lui verso il parco.

Passarono vicino ai bambini e Luca disse a Lolli di non muoversi e rimanere sempre con i pagliacci, lui sembrò averlo capito ma lo spettacolino in quel momento era troppo interessante per rispondergli.

Luca e Mia si baciarono, come da copione, nascosti nel folto di un parco che non sembrava possibile essere al centro di quella città nevrotica eppure seduttiva.
Si baciarono ancora, si misero le mani tra i capelli e sotto i vestiti, con una frenesia che nessuno di loro provava  da tempo e in quel modo che è quasi mangiarsi avvicinarono i loro corpi fino a sentirli avvampare.
Nessuna sorpresa, sapevano entrambi che sarebbe successo, aspettavano solo l’occasione giusta.
Poi passò quel tempo che non si sa mai quanto è, che avresti detto dieci minuti ed invece è mezzora oppure un’ora.

Un’ora e mezza!
Cristo, Lolli!

Luca e Mia tornarono indietro correndo e nello scoprire che c’erano ancora quasi tutti gli invitati e che la festa era ben lungi dal terminare, tirarono subito un sospiro di sollievo.
Ma il sollievo durò poco: si diressero velocemente verso i due clown circondati dal gruppetto di bambini che però non era più un gruppetto. Erano solo tre. E tra quei tre, Lolli non c’era.

Una morsa di terrore strinse lo stomaco di Luca ma con calma chiese alla ragazza
dov’è Lolli?

Lei, che non avesse avuto la faccia truccata di bianco, sarebbe impallidita, si guardò velocemente intorno e disse
Ehm, non lo so. Ha detto che doveva fare pipì e che poi sarebbe tornato da lei.

L’uomo, d’istinto cercò con lo sguardo il clown maschio che era di spalle intento a sistemare nelle borse colorate giochi ed attezzi , questo si voltò e di nuovo gli rivolse quel ghigno che ormai non aveva più dubbi, era malefico.

Ma l’avete mandato da solo? Ma siete pazzi? E’ piccolo.
Ma noi non ci siamo presi mai la responsabilità del bambino, i genitori stanno sempre qui intorno, passano a guardare, lei è sparito! Ho pensato che il piccolo l’avesse trovata.

Nel centro esatto del triangolo che vergogna, terrore e rabbia formavano, Luca si mise a cercare il suo bambino ovunque, col cuore in gola, le mani sudate e la mente invasa da immagini catastrofiche e cruente, i film horror che avevano accompagnato tante sue serate gli presentavano ora il conto tornando sotto forma di terribili fantasie.

Tornò al tavolo del buffet, guardò vicino al palco sul quale suonava ancora il gruppo, corse alla terrazza e premendo i pugni sopra il marmo ormai freddo del cornicione, istintivamente guardò giù.
Nulla tra le siepi, nulla sulla strada. 
Luca pianse per il sollievo di non aver trovato il corpo del suo bambino schiantato al suolo e per la disperazione di non sapere dove cercarlo. Gli tornò in mente il ghigno del clown e fu lì che pensò al peggio, che si preparò a veder morire una parte di sè. Si morse le labbra fino al sapore ferroso del sangue e le odiò e con loro odiò il mondo in cui entrando in quelle di Mia gli fecero perdere la cognizione del tempo e l’unica cosa che davvero contasse nella sua vita, l’unica cosa buona che aveva fatto: quel bambino buono e curioso dagli occhi blu.

Prese il cellulare e chiamò la polizia pronto a denunciare la scomparsa, erano passati quaranta minuti ed avevano guardato ovunque, chiesto a tutti, pensato ad ogni eventualità.

Il brusio che si levò all’improvviso spezzando in due quel silenzio di morte, lo fece voltare lentamente e tra le lacrime intravide due figure: un adulto, forse una donna, che teneva per mano un bambino.
Fu lì che la mente si fece inganno e si divise in due metà esatte: una parte era convinto di averlo ritrovato e l’altra invece voleva credere che si trattasse di un altro bambino e non certo di Lolli.
Perché Lolli non c’era più, era scomparso e con lui tutti i bambini della terra, insieme a i fiori e  ai fiumi.

La  donna si fece più alta, lo sovrastò con la sua figura e lui, non avendo il coraggio di guardarle il braccio e seguirne la linea fino ad arrivare a quel bambino che di certo non era il suo, la fissò in un punto imprecisato in mezzo al viso.
Lei aprì la bocca dicendogli
“L’ho trovato che dormiva in una delle scatole in cui teniamo i giochi.” 
Non si era mai mosso di lì, si era addormentato.

Nel frattempo arrivò la polizia
è lei che ha denunciato la scomparsa di un bambino? Ci sono dei moduli da compilare
E di seguito, come una buffa ed inaspettata risposta, arrivò la voce del piccolo
Papà, andiamo a casa?
Luca ritrovò il battito perso del cuore e la saliva nella bocca, lo stomaco si distese ed abbracciando Lolli lasciò andare incubi o paure.

O almeno, fu ciò che in quella profumata e surreale serata romana credette di fare, perché in realtà quell’assenza, quel buco nero lungo duemilaquattrocento secondi, sarebbe tornata a trovarlo puntuale, ogni notte della sua vita.

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