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lunedì 27 aprile 2015

Come sassi nel mare.

San Domino, Isole Tremiti
Mi ricordo ancora il giorno in cui guardandomi negli occhi Tina mi disse: “Prendi il mio zaino, è pieno di sassi brutti e pesanti, portalo al mare e una volta lì buttali in acqua.”
Forse anche lei sapeva che non mi spaventa farmi carico di persone e cose, che le prendo con me, seppur coi miei tempi e le mie pause e le mie paure.

È passata una settimana da quando sono arrivata su quest’isola, il viaggio è stato faticoso, il mare molto mosso ma ora sono qui ed attendo paziente che il vento carico di microscopici granelli di sale levighi i sassi e li renda lisci. 

Forse dovrò aspettare settimane, forse mesi ma non ho fretta, le ho promesso che l’avrei liberata da quel peso e questa promessa fa ormai parte di me come tutte quelle cose che ci sono da prima ancora che il mio sguardo sul mondo si facesse consapevole.

Prima di buttarli in mare però voglio renderli belli, lisci, tondi, voglio togliere il brutto che le ha fatto desiderare di liberarsene per sempre perché io ho bisogno del bello e lo cerco in tutto quello su cui poggio questi occhi stanchi e queste palpebre gonfie.


La torre di sassi che ho creato è alta e si staglia contro il cielo azzurro e bianco, seppur invisibile il vento sta facendo il suo lavoro e i sassi diverranno lisci e tondi come li desidero io e come credo vorrebbe vederli lei e lo saranno per qualche istante e brilleranno di splendente bellezza prima di sprofondare per sempre nell’abisso più nero.

lunedì 23 marzo 2015

Dovrei ingoiare la chiave che ti apre.

Oggi per un'ora ho avuto una chiave in mano, con la quale avrei potuto aprire una persona qualsiasi.
E io ovviamente ho immaginato sabbie mobili, vortici e pozzi profondi come occhi. E non l'ho usata, anzi mi sono ripromessa di inghiottirla, consapevole che forse non lo farò mai.

"E se ci finissi dentro come Alice nel pozzo, dal dolore mangerei tutto il fungo cercando di anestetizzarmi e diverrei minuscola e gigante al tempo stesso e sarei ovunque e in nessun luogo e poi imploderei, rimanendo solo briciole beccate da un tenero uccellino senza testa."

E quindi mi sono chiesta, possibile che nessuno si sia mai domandato come sarebbe andata se Alice avesse ingoiato tutto il fungo?

domenica 22 marzo 2015

Lamiavitain20minuti.

Erano due ragazzini che facevano l’amore in macchina, i miei genitori.
Lui operaio, lei commessa in un negozio di libri: 22 e 21 anni.
Sei bassetta perché t’abbiamo fatta nella 500” si diverte a ripetere ancora oggi mio padre in una delle sue mille battute tutte uguali che  mi strappano sempre un sorriso, seppur a volte esasperato.

Ma  a pensarci bene ne ho avuta un’altra di mamma, mia nonna Adriana, bellissima e formosa romana di Garbatella, con le labbra carnose, la risposta pronta e una profonda depressione che nessuno mai capì. E che mi amò e coccolò per tutto il tempo che ebbe.
Si racconta di me che a due anni piangevo di commozione guardando Heidi, che chiaccheravo troppo e che stavo ore nella libreria dove mia madre lavorava, seduta a terra a leggere libri che se mi concentro  sento ancora l’odore di carta e del legno dei vecchi scaffali: tutto torna.

E la scuola, dove non ho mai brillato per impegno ma dove sono sempre stata involontariamente leader. E sì che a me i leader mi sono sempre stati sul cazzo.

La comitiva, la primavera, il primo bacio dato in chiesa, il rossetto messo per le scale perché mio padre “se ti becco per strada col rossetto ti lavo la faccia alla fontanella”.

E le amiche che ho fatto soffrire e quelle che hanno fatto soffrire me e poi, in un pomeriggio d’inverno ecco che arriva lui.
Introverso, timido e sbruffone col CIAO modificato e un appuntamento al quale è stato in grado di arrivare con 25 ore di ritardo, sorridendomi ed infilandosi nei miei giorni,e non solo in quelli, per i 6 anni che avevamo davanti.
Le fughe nella casa al mare, il fare l’amore per la prima volta davanti al camino tra i cuscini colorati, il prenderci gusto, il non fermarsi più.
L’essere l’uno per l’altra fondamento e al tempo stesso distruzione degli adulti che saremmo divenuti un giorno. Lui, che ancora oggi è una delle persone più folli ed amorevoli che ho nella vita, che solo adesso, dopo 15 anni, posso frequentare senza sentirmi inquieta.

Poi l’improvvisa morte di mia nonna e con lei di una parte di me ma anche l’affermarsi di una realtà: io non ricoprirò mai il ruolo che la società proverà ad affibbiarmi, io non rinuncerò a nessun battito del cuore in nome di nessuna coerenza o stabilità. Io non sarò prigioniera dei miei giorni, nonna. So che se avessi potuto, me lo avresti fatto promettere.

Poi il primo amore che finisce e il ritrovarmi a 23 anni convinta di essere ad un passo dalla morte ed invece, posso dirlo? A 23 anni non si è proprio a un passo da nulla, si è solo una lavagna bianca e c’è soltanto da pregare che qualcuno ci scriva sopra nel modo migliore.

E via, si vive.
Si esce, si balla, si fuma, ci si droga, si va in coma etilico, ci si perde, si ascolta la musica, si viaggia, si scopa, si soffre, quanto si soffre, si scrive, si studia, non ci si riesce molto bene ma si legge (tanto), si gode, ci si trattiene (poco), si pensa (non sempre), ci si innamora più volte e c’è sempre un abisso profondo da cui riemergere però santo dio, che bello è stato affondarci, treni e lacrime sui binari.
Poi si parte per la Spagna e si torna. Poi si parte per un’isola e si torna.

Poi si incontra una persona diversa dalle solite, una persona calma, realizzata e serena e ci si dice “perché no?” forse vale la pena fermarsi con lui, forse l’amore non è sofferenza ma comprensione, condivisione, serenità. Forse.

Mio padre si ammala. Ah sì? E io mi sposo. No, non c’è un legame, non cercatelo. Andrò così: al mio matrimonio tenni le scarpe mezzora e mi vestii di verde.

E poi c’è la vita a Roma che diventa una camera a gas ma c’è anche una macchina e un “sì, andiamo” e poi c’è Berlino.

Poi c’è un bambino, un maschietto che arriva e se ne riva. O prova ad arrivare, di sicuro se ne va, una breve visita che diventa la fine dei miei giorni e subito dopo la possibilità di nascere nuovamente.
Perché nonna, non me la scordo la promessa che non ho fatto in tempo a farti: nessun ruolo, nessuna categoria.
Quindi ora la mia vita è il contenuto caotico di una borsa in cui ci sono cose molto preziose e qualche cosa inutile, l’ho rovesciato sul tavolo e lo sto osservando in attesa di decidere cosa farne.

Di lei e di me.

lunedì 19 gennaio 2015

Ascolta e scrivi.

Come se scrivere tanto fosse una colpa. Se così fosse, allora scusatemi.
Tre donne che possono scegliere tre tracce, possibilmente sconosciute. Tre donne che ascoltano tre tracce e che poi scrivono. Si influenzano e scrivono.
Ecco quello che ho scritto io, si chiama scritturoterapia e mai come oggi è stata una figata totale. 



Forse tra un attimo -El Muniria-

La penombra ci avvolge, visti dal di fuori sembriamo due che si stanno annoiando.
Io sul bordo del letto, tu sulla poltrona. Le uniche cose che avremmo da dirci sono quelle che ci farebbero più male. 
Meglio tacere. Meglio il silenzio. 
Meglio guardare negli occhi le nostre promesse non mantenute. 
Non ci salveremo mai, noi due. 
Non se io o te. 
Non se uno dei due, non decide.
Non se uno dei due non decide di alzarsi, indossare qualcosa e lasciare questa stanza che odora di nulla.
Forse tra un attimo.





Amica Venus

Dove corri? Amica mia, rallenta.
Il concerto inizia tra un' ora e non c'è nessuna fretta.
Non mi va di arrivare prima e sorbirmi la trafila del pre-serata, quando tutti sono troppo lucidi ed impacciati per scambiarsi qualcosa di più che non frasi di circostanza e finti che piacere rivederti.
Vai piano, amica mia.
Cammina accanto a me ed anche se fa freddo, affacciamoci da questo ponte, osserva con me il fiume che, sono certa, domani sarà di ghiaccio.













Atoms for Peace



Mi fanno male gli occhi, vorrei togliere le lenti.
Ma poi tutti vedrebbero il mio occhio incolore.
Mi sforzo di apparire normale e prima ancora di pensare che la normalità non esiste.
E che se pure esistesse io non vorrei farne parte, dei normali. 
Tra 10 minuti si apre il sipario e dovrò uscire fuori.
Non deludo le aspettative.
Se potessi indosserei la maschera di Frank.
Se potessi sarei ridicolo e geniale, se potessi vi manderei tutti a fanculo.
Invece ora suonerò per voi.
Ed anche se non vi vedrò, saprò che ci sarete.
Sarete lì: emozionati, umidi, desiderosi.
E io mi vivrò ancora una volta il peso, di sapere che siete lì per me.



lunedì 24 novembre 2014

Scritturoterapia. Un lunedì piovoso.



Abbiamo ascoltato un brano e no, durante l'ascolto non potevamo scrivere. E io mi sono sentita le mani bruciare, il volto avvampare e il cuore sobbalzare in petto per il divieto imposto.
Non scrivere.
Un treno che sbuffa, che parte, che aspetta. Ferro. Kilometri. Viaggi senza senso. 

-No, non puoi, aspetta. Non puoi segnarti niente, anzi non prendere proprio la penna in mano. Aspetta-
Poi l'abbiamo ascoltato di nuovo e lì sì, lì abbiamo potuto scrivere.

E io ho scritto questo.



Nina trascorreva ore intere su treni che non portavano mai da nessuna parte.
Aveva poco con sé ma quel poco era tutto il suo necessario.
Arrivava alla stazione della sua città in orari imprecisati del giorno e della notte, prendeva un thè, leggeva qualche pagina del libro che aveva in borsa e controllava allo specchietto gli occhi sempre sfatti. 


Poi, come in un rituale senza senso alcuno, si metteva sotto al tabellone luminoso degli arrivi. Si spostava poi verso il binario che per primo avrebbe accolto quel fiume deforme di carne, pensieri ed aspettative.
Li guardava sistemare con cura giacche e bagagli, qualcuno si tastava vigorosamente per assicurarsi di non aver abbandonato nulla sul sedile ancora caldo dopo ore di stretto contatto.
Molti avevano gli occhi lucidi. Avete idea di quanta gente pianga lungo i binari?


Poi arrivava il suo turno, si spostava sotto il tabellone delle partenze, chiudeva gli occhi, li riapriva e coglieva la prima meta apparire luminosa ai suoi occhi.
Torino.

Via.

Il biglietto lo faceva sempre a bordo. Il procedimento con cui sceglieva il posto invece non era altrettanto casuale, c'era uno studio dietro, un'analisi accurata che non starò qui a raccontarvi.

Una volta giunta al suo posto si metteva comoda ed iniziava a scrivere.

Scriveva di quello che le sarebbe accaduto una volta giunta.
Senza nessun appuntamento, incontro, destinazione.
Una volta scrisse dell'incontro con una vecchia antiquaria con la quale avrebbe parlato degli oggetti e del senso di possesso che scatenano in noi.
Delle storie, spesso più noiose di quanto vorremmo immaginare, di chi li ha avuti.

Poi ci fu un uomo, al quale scrisse -avrebbe donato il suo cuore, se solo ricordasse dove lo aveva cacciato. 
E via dicendo, personaggi inesistenti che l'aspettavano da qualche parte una volta giunta alla stazione.

Poi, finito il viaggio, rimetteva le sue cose nella borsa e scendeva al binario: lo sguardo che lanciava intorno a sé era sempre di sottecchi. Era incuranza e mai speranza.
E poi thé, libro, tabellone.