Visualizzazione post con etichetta lebalenepossonovolare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lebalenepossonovolare. Mostra tutti i post

venerdì 27 novembre 2015

Occhi gialli in un mondo finito





Sono l'ultima abitante di un mondo dopo il mondo. 
I miei occhi intossicati e gialli planano lievi sulle rovine di ciò che per anni ho provato a distruggere, senza accorgermi che nulla era mai stato integro.
Osservo dall'alto i percorsi che via terra non sarei mai riuscita a trovare. Mi appaiono nitidi.
Alla mia destra il mare è ghiaccio che non si lascia avvicinare, non mi arrendo. Provo ad entrare con la punta del piede e la risposta è una lama affilata pronta a tranciarmi di netto le dita.
Ognuno cammina come può, penso proseguendo la mia goffa passeggiata ai confini della mia esistenza.
Mi sdraio e lascio che a massaggiarmi il corpo siano solo le vibrazioni della terra. Ricordo quelle antiche, i bassi di una musica che non è più parte del mondo. Mi arriva l’eco di esplosioni in lontananza, tutto trema e non conosco la paura.
Mi sdoppio, me ne vado eppure resto. Ed è lì dove sono che mi raggiungi in silenzio. Ancora una volta, quella che ha un nome che conosco e si chiama Ultima.
Mi volto su un fianco, poggio la guancia sulla sabbia e sei lì, ti entro in ogni poro della pelle: dammi una fine, una qualsiasi ma non mescolarmi a nessun’altra moneta.

Io e te, peso finalmente distribuito in orizzontale, esseri enormi costretti da sempre su gambe minuscole e deboli. Goffi, impacciati, impossibilitati. Chiudo gli occhi e li riapro, sei scomparso.
È il mio modo di restituirti libertà, è con un battito di ciglia che ti libero da me, amen.


La realtà è una pianta che nessuno bagnerà più, che sopravviverà a stento nutrita da occasionali ed acide piogge. Vorrei alzarmi ma conosco a memoria la fatica che accompagnerebbe quel primo ed ultimo gesto, quindi rimango qui, calamitata a terra durante una calamità, riderei, se solo mi ricordassi di avere una bocca.

martedì 13 ottobre 2015

Mattoni e Caffè.

Una sedia e un pc sulle gambe.
Vedo le macchine scorrere lungo la striscia d'acciaio che circonda il nostro bancone.
Quello che a breve verrà ricoperto da legno e pagine e che solo chiudendo gli occhi e domandando alla nostra mente un notevole sforzo, riusciremo a ricordare com'è ora. 
Ora che è fatto di nulla, che è un ibrido, come le mura che contengono questi nostri giorni fatti di lavoro, tisane, parole, letture, piani, pianti, delusioni, rabbia, smania, gioia.

Una sedia, un pc sulle gambe e la spazzatura che mi osserva, tanta: calcinacci e buste di plastica, bottiglie e bidoni.
Tra due giorni la porteranno via, dicono.
Tra due giorni si aprirà la danza che ci condurrà alla fine della polvere, della calce e dei muri da abbattere.

Ed io sono qui:  una sedia, un pc sulle gambe, la spazzatura che mi osserva e uno scialle rosso che mi scalda.
Davanti a me una vetrina che tra due settimane verrà buttata giù per lasciar spazio a quella nuova, quella che qualcuno sta già costruendo e che ora giace in una falegnameria, credo polacca.

Penso ai sogni che ci univano, quando noi non eravamo ancora nemmeno pensieri.

Lo stesso sogno che in forme e in momenti diversi piantava il suo seme in tre menti lontane: Roma, Milano, Bruxelles, Berlino. Dove? Non lo so.
Un sogno che un giorno si è svegliato e ci ha guardati dritti in faccia, costringendoci a domandarci: chi sei?

Alle mie spalle il resto di questo posto che inizio ormai a conoscere bene: le pareti che stanno cambiando colore, il cicalino della caldaia, le sedie e i tavoli presi durante un trip in un mercato delle pulci di Lipsia, dove tutto mi sembrava gigante o forse ero solo io ad essere minuscola, stretta in abiti neri che puzzavano di fumo e di ore mai dormite.

Alle mie spalle solo l'idea, bellissima, della forma che questo posto prenderà.

martedì 23 settembre 2014

Incipit

Come forse saprete, o forse no, sto seguendo un corso di scrittura creativa in italiano qui a Berlino, per l'esattezza quello di Le Balene possono volare.
Non mi sono vergognata mai di raccontare cose intime e personali ed invece -sorpresa- mi riscopro timorosa nel lasciarvi affacciare all'interno della mia fantasia.
Di immaginare, 
di lasciarmi ispirare.
Guidare.
Insegnare.

Ma mi piace, mi piacciono i miei limiti e le mie insicurezze. Ed ogni tanto, mi piace quello che scrivo.

No, il sole no. Vi prego.

Quando batte il sole lo fa così forte e in maniera così asfissiante che le sembra ogni volta di morire.
Il secchio in cui le lasciano quel poco di acqua sembra ogni giorno più lontano, non sarebbe stupita nello scoprire che non è un caso e che la cosa sia voluta.
Ogni volta qualche centimentro più lontano, così che diventi più faticoso raggiungere quell’acqua putrida eppure indispensabile. Solo un centimentro che però si fa sentire tutto.

Non avrebbe mai pensato che un centimetro potesse significare tanto, se invece la catena che le stringe la caviglia si potesse allentare anche di un solo mezzo centimetro, la pelle non si scarnificherebbe come invece sta facendo. E poi quelle mosche che girano intorno alla sua ferita infetta e che la preoccupano un po’.

Le sbarre della gabbia sono ormai infuocate e la prima volta che è successo, ha urlato e pianto così forte che uno si loro si è mosso a pietà o forse non ne poteva semplicemente più ed ha coperto la gabbia con un grosso telo nero, come si fa coi pappagalli per farli smettere di cantare o parlare.
A lei è piaciuto e quando l’aria iniziava a scarseggiare, poteva avvicinare il naso, scostare un po’ il telo e respirare forte.
Fu una bella giornata quella, poi svenne. E quando si riprese il telo era sparito ed era buio.


Le fanno sempre degli indovinelli prima di darle da mangiare e quando non indovina non mangia: questa è la regola.