Una sedia e un pc sulle gambe.
Vedo le macchine scorrere lungo la striscia d'acciaio che circonda il nostro bancone.
Quello che a breve verrà ricoperto da legno e pagine e che solo chiudendo gli occhi e domandando alla nostra mente un notevole sforzo, riusciremo a ricordare com'è ora.
Ora che è fatto di nulla, che è un ibrido, come le mura che contengono questi nostri giorni fatti di lavoro, tisane, parole, letture, piani, pianti, delusioni, rabbia, smania, gioia.
Una sedia, un pc sulle gambe e la spazzatura che mi osserva, tanta: calcinacci e buste di plastica, bottiglie e bidoni.
Tra due giorni la porteranno via, dicono.
Tra due giorni si aprirà la danza che ci condurrà alla fine della polvere, della calce e dei muri da abbattere.
Ed io sono qui: una sedia, un pc sulle gambe, la spazzatura che mi osserva e uno scialle rosso che mi scalda.
Davanti a me una vetrina che tra due settimane verrà buttata giù per lasciar spazio a quella nuova, quella che qualcuno sta già costruendo e che ora giace in una falegnameria, credo polacca.
Penso ai sogni che ci univano, quando noi non eravamo ancora nemmeno pensieri.
Lo stesso sogno che in forme e in momenti diversi piantava il suo seme in tre menti lontane: Roma, Milano, Bruxelles, Berlino. Dove? Non lo so.
Un sogno che un giorno si è svegliato e ci ha guardati dritti in faccia, costringendoci a domandarci: chi sei?
Alle mie spalle il resto di questo posto che inizio ormai a conoscere bene: le pareti che stanno cambiando colore, il cicalino della caldaia, le sedie e i tavoli presi durante un trip in un mercato delle pulci di Lipsia, dove tutto mi sembrava gigante o forse ero solo io ad essere minuscola, stretta in abiti neri che puzzavano di fumo e di ore mai dormite.
Alle mie spalle solo l'idea, bellissima, della forma che questo posto prenderà.
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martedì 13 ottobre 2015
mercoledì 18 marzo 2015
"Il mondo è un posto bizzarro." (cit.)

Le domanda spegnendo la sigaretta sulla banchina della metro ed aggiunge, senza darle neanche il tempo di rispondere
"A dove va tutta questa gente."
"No, dovrei?"
"No, non dico che dovresti ma potresti. Io per esempio me lo chiedo spesso e quando mi sveglio presto per andare a lavoro ed incontro gente sfatta che torna dalle serate, cerco di immaginarmi cosa hanno vissuto, dove sono stati, con chi, a fare cosa, se si sono mai seduti su un divano di pelle a vedere il fiume che scorre e poi di colpo rallenta.
E poi, cosa avranno fatto una volta arrivati a casa? Dormire non è così scontato. Oppure al contrario, quando sono io a rincasare all'alba ed incontro questa gente che diligente va a lavoro, spero non si senta l'odore di alcol che mi porto dietro.Oppure il pomeriggio, guardando i bambini che escono da scuola mi chiedo se sono felici di tornare a casa, se poi faranno merenda come facevo io da piccolo o se avrabbero preferito rimanere a scuola.E quella ragazza così assorta, forse vuole solo rientrare a casa per vedere sette episodi di fila della serie tv che al momento le tiene le notti impegnate. E quale sarà? L'avrò mai vista?E poi, chi ride guardando lo smartphone? Io vorrei conoscere chi si è meritato quella risata. E chi legge un libro? Sarà soddisfatto di averlo tra le mani o è pentito di averlo iniziato ma ha difficoltà a lasciare la lettura a metà? Non sempre i loro volti lasciano trasparire qualcosa.E gli altri, i protagonisti delle mie quotidiane fantasie, cosa penseranno di me? Mi vedranno o per loro sarò solo un movimento sullo sfondo?Eh? Ci pensi mai?"
Arriva la metro, lei fa un passo verso la banchina.
"Non me ne frega un cazzo" risponde.
_____
Questo è stato l'esercizio di sabato scorso del corso de Le Balene, Mattia ci ha dato un titolo come input e basta.
Poi il giorno dopo ho aperto un foglio bianco, ho riscritto lo stesso titolo ed ho scritto un'altra cosa. Che nessuno leggerà mai.
martedì 23 settembre 2014
Incipit
Come forse saprete, o forse no, sto seguendo un corso di scrittura creativa in italiano qui a Berlino, per l'esattezza quello di Le Balene possono volare.
Non mi sono vergognata mai di raccontare cose intime e personali ed invece -sorpresa- mi riscopro timorosa nel lasciarvi affacciare all'interno della mia fantasia.
Di immaginare,
Di immaginare,
di lasciarmi ispirare.
Guidare.
Insegnare.
Guidare.
Insegnare.
Ma mi piace, mi piacciono i miei limiti e le mie insicurezze. Ed ogni tanto, mi piace quello che scrivo.
Quando batte il sole lo fa così forte e in maniera così asfissiante che le sembra ogni volta di morire.
Il secchio in cui le lasciano quel poco di acqua sembra ogni giorno più lontano, non sarebbe stupita nello scoprire che non è un caso e che la cosa sia voluta.
Ogni volta qualche centimentro
più lontano, così che diventi più faticoso raggiungere quell’acqua putrida
eppure indispensabile. Solo un centimentro che però si fa sentire tutto.
Non avrebbe mai pensato che un
centimetro potesse significare tanto, se invece la catena che le stringe la
caviglia si potesse allentare anche di un solo mezzo centimetro, la pelle non
si scarnificherebbe come invece sta facendo. E poi quelle mosche che girano
intorno alla sua ferita infetta e che la preoccupano un po’.
Le sbarre della gabbia sono ormai
infuocate e la prima volta che è successo, ha urlato e pianto così forte che
uno si loro si è mosso a pietà o forse non ne poteva semplicemente più ed ha
coperto la gabbia con un grosso telo nero, come si fa coi pappagalli per farli
smettere di cantare o parlare.
A lei è piaciuto e quando l’aria
iniziava a scarseggiare, poteva avvicinare il naso, scostare un po’ il telo e
respirare forte.
Fu una bella giornata quella, poi
svenne. E quando si riprese il telo era sparito ed era buio.
Le fanno sempre degli indovinelli
prima di darle da mangiare e quando non indovina non mangia: questa è la
regola.
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