Si incontrarono nella stazione della metro affollata. Non
avevano un appuntamento, non dovevano vedersi, si incontrarono per caso, per un
improbabile caso, viste le dimensioni della città.
Lui la osservò per qualche secondo, la guardò passare, gli
sembrò che stesse parlottando da sola, ah
no forse canticchia, ha le cuffie pensò, poi la vide sorridere e subito tornare
seria a guardare le persone in quel modo strano: che un po’era attraversarle
con lo sguardo e un po’ piazzare gli occhi fin dentro le viscere.
Si avvicinò e le mise una mano sul braccio, lei si voltò
ferocemente e gli piantò quei suoi occhi vuoti proprio dentro, ma quello
sguardo durò un solo secondo perché poi lei pianse.
Pianse continuando a guardarlo, pianse senza muovere di un millimetro la faccia, senza fare nemmeno
una smorfia: gli occhi si fecero larghi e bagnati e le lacrime scavalcarono il
bordo sfumato di nero e rotolarono giù.
Lui non le chiese niente e non sembrò nemmeno preoccuparsi ma sorrise e le disse soltanto “hai tempo per un caffè?” poi si incamminò senza aspettare il suo sì ma pensando che se solo fosse stato capace di amare, avrebbe voluto amare lei.
Lui non le chiese niente e non sembrò nemmeno preoccuparsi ma sorrise e le disse soltanto “hai tempo per un caffè?” poi si incamminò senza aspettare il suo sì ma pensando che se solo fosse stato capace di amare, avrebbe voluto amare lei.
Avrebbe voluto amare quello strano essere che sembra sempre
capitato lì per caso e lì era ovunque, che piange e ride in quel modo
snervante.
Quell’essere che
vorrebbe scuotere forte per sciogliere i suoi pensieri annodati che si vedevano
pure da fuori tanto erano aggrovigliati, solo che poi non avrebbe saputo che
farsene e allora niente, meglio lasciarli lì dentro, annodati ed innocui.
Lei lo seguì ma non
si tolse mai le cuffie e lui pensò che avrebbe trovato maleducato e
sconveniente il gesto se fosse stato fatto da una qualsiasi altra persona ma
non da lei.
Perché lei aveva i suoi
tempi, le sue emozioni con cui combattere. Lei poteva farlo.
Lei poteva camminargli accanto per ore senza sentirsi in dovere
di dire qualcosa solo per spezzare quel silenzio che imbarazza.
E così camminarono. Si camminarono accanto, camminarono uno avanti ed una indietro, camminarono
lentamente e poi accelerarono il passo senza dirselo apertamente ma riuscendo a
mantenere sempre la stessa distanza.
Poi arrivarono sul ponte e sempre senza dirselo si
fermarono.
Lei si tolse le cuffie e le infilò in borsa e lui potè sentire il suo odore e pur sapendo che non l’avrebbe mai toccata, provò per un attimo la curiosità di conoscere la trama della sua pelle, di sentire il caldo sotto i suoi vestiti, il caldo tra le sue gambe.
“Che facciamo?”
chiese lei chiudendosi una sigaretta. “Guardiamo
il fiume” rispose lui distogliendosi controvoglia dai suoi pensieri.
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