domenica 18 gennaio 2015

Palpebre chiuse.

È andata così, Agata ci ha dato un esercizio in cui avremmo dovuto descrivere "la volta in cui abbiamo tradito la fiducia di qualcuno".
 Io non l'avevo fatto, poi però Daria ha scritto un post
(una donna che va via, di notte.)

ispirandosi proprio a quell'esercizio e a me è venuta voglia di scrivere questo.
Io non so se capite che tutto ciò -non il mio scritto, ma TUTTO ciò- è una figata, lo spero per voi.


Lasciare questa stanza d'albergo, nel cuore di una notte silenziosa in cui i secondi vengono scanditi solo dalla goccia del rubinetto che perde, è forse la cosa più dolorosa che le sia mai capitata nella vita.
Questo che sta abbandonando, nel mezzo di un ignaro sonno è l'uomo che le aveva affidato la propria, di vita, che le aveva aperto le mani, gliele aveva richiuse e nel mezzo aveva lasciato se stesso.
Nessuna promessa, nè progetto, solo lui e tutto il caos che conteneva.
E lei, mai come quella volta sentì forte, sulle spalle, tutto il peso dell' essere stata scelta.

Erano lui e il suo bambino, quando li vide la prima volta, erano davanti ad un distributore di benzina. Li sorvolò con gli occhi senza soffermarsi né sullo sguardo concentrato del piccolo né sugli occhi che, ci avrebbe potuto giurare, un tempo erano stati profondi, dell'adulto che lo teneva per mano.
Li sorvolò ed andò oltre perché quello era, da sempre, abituata a fare.
Ma poi lui si mosse, lui la guardò, lui la chiamo, lui la scelse.
E lei non trovò, in quel macigno che le piombò sulle spalle, un solo motivo per dire no.

E seguirono giorni di silenzio, giorni in fuga, giorni a fingere che in fondo era normale così.
Alberghi, case, i chilometri e loro tre, in un curioso equilibrio triangolare che per un po' le sembrò la perfezione.

Ormai non manca molto alla città nella quale lei ha promesso di accompagnarli: qualche altro giorno di viaggio, altre parole, altro aiuto, altre notti di quella specie di amore ed altro, prezioso, reciproco, conforto.

Non sa bene cosa succederà una volta arrivati e non le importa ma sa che per lei non finirà lì. Lei è dentro, ormai. Lei ce li ha dentro. Lei è l'incubatrice.

Se apre le mani li può vedere, quei due, quelli che senza di lei non ce la faranno mai.

Non porta via niente con sè, stanotte. Stanotte è la notte in cui decide di andare via.
Si alza dal letto e prende lo zaino, immagina gli occhi dell'uomo dietro le palpebre chiuse, pensa che se lei avesse ancora un'anima avrebbe voluto toccare la sua, di anima, anche se per poco.
Gli sistema un ciuffo di capelli sulla fronte. Pensa che è bello.

Poi guarda il bambino, inaspettatamente lui apre gli occhi e la guarda per qualche secondo.
Quello che vede dipinto sul volto di quell'impenetrabile esserino, si chiama delusione.

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