sabato 29 novembre 2014

Un esercizio non riuscito


Poggia le tempie sulle mattonelle bianche del cesso.
Spera di ritrovare così quella lucidità che ha perso ormai da qualche ora.
Si siede sul water ma non per fare la pipì. Ha tenuto anche i pantaloni ma ha bisogno di fermarsi un attimo.
Guarda davanti a sè: gli adesivi attaccati alle pareti le danzano davanti agli occhi come piccoli folletti neri e spiritati. Chiude gli occhi.

"Andatevene a fanculo" gli dice "io ho bisogno di tornare".

Con movimenti che è certa siano lentissimi, apre il rubinetto bianco di calcare e lascia scorrere l'acqua, poggia le mani sul bordo del lavandino e si guarda allo specchio senza in realtà vedersi.
"Hai dimenticato gli occhiali" si dice.
"Tu non hai gli occhiali" si risponde. E ride.

Ride in compagnia della sua solitudine mentre prova a mettersi a fuoco: sfatta, sconvolta, come una bomba appena esplosa.

È successo ancora. Facciamo presto, s'era detto ed invece eccola di nuovo nel bagno lurido di un locale a lottare contro il vomito che poi alla fine, se lo assecondasse, non sarebbe meglio?

Ma lei non ha mai amato vomitare. Non ha mai amato nemmeno sentire le budella rivoltarsi in cerca di via di uscita. Eppure.

La musica la raggiunge ormai ovattata e lontana. Le luci non l'aiutano, sottolineando il trucco colato come quello di una star in declino.
Avanzando faticosamente di dieci lunghissimi centrimetri, le sue mani raggiungono l'acqua e con un gesto automatico balzato fuori da chissà quale cassetto della memoria, si bagna i polsi. 
"Questo ora lo metti nel cassettino della memoria", le diceva suo padre, "e quando ti servirà tonerà fuori."
Stavolta dal cassetto è balzata fuori lei da piccola che finiva di correre e scatenarsi e poi sua madre, pronta ad inibire la sua voglia di bere acqua ghiacciata, con un noioso quanto legittimo: "prima bagnati i polsi!"

"Sì mamma, me li sto bagnando, vedi? Ma ho la sensazione che non cambierà di molto le cose. Non stavolta" Sorride di se stessa, prigioniera del suo non avere limiti, in un cesso bianco. 
La principessa, il drago, la torre. Lei, ancora lei ed un cesso.

Poi si butta un po' d'acqua sul viso e prova pateticamente a rendersi di nuovo presentabile: p
rende la carta grigia che staziona sul davanzale polveroso da chissà quanto tempo. Si tampona il volto ormai livido
Passa la carta anche sulle occhiaie, cercando di cancellare il nero della matita che indisciplinato è uscito dal bordo degli occhi ed è andato a poggiarsi alla perfezione sul rigonfiamento naturale che staziona fedele sotto i suoi occhi, anche nei momenti migliori delle sue giornate.
Respira profondamente, getta un ultimo sguardo allo specchio pensando che almeno i capelli non sono poi messi così male, mette la mano sulla maniglia e la stringe "Non può essere così difficile, esci di qui."

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