Cosa facevate in Italia?
Io: un diploma di Ragioneria mai utilizzato e del quale ancora fatico a capirne le ragioni dell’esistenza.
Una laurea in Psicologia mai conseguita, un lavoro svolto sempre nell’ambito dell’infanzia: da baby sitter ad operatrice di ludoteca, ad operatrice nei centri estivi, poi coordinatrice sempre negli stessi.
Negli ultimi 6 anni operatrice teatrale nelle Scuole d’Infanzia, un lavoro bellissimo e molto faticoso divenuto quasi impossibile a cause delle enormi distanze che c’erano tra una scuola e l’altra a Roma, nella città in cui ho sempre vissuto e lavorato, e di conseguenza l’enorme spesa per la benzina che ultimamente ha toccato prezzi proibitivi e l’assoluta necessità di avere un’automobile per trasportare ogni giorno tantissimo materiale.
Lavoro che ho lasciato con dispiacere per l’enorme fortuna di poter lavorare con i bambini e con un grandissimo sospiro di sollievo pensando a tutto il resto.
Poi c’è mio marito, uno di quei diplomi che non ti penti di aver conseguito e che da subito ti dà lavoro: istituto alberghiero.
Anni di sicuro ed onesto lavoro nelle cucine romane quando tre anni fa un incidente sul lavoro (7 punti ad un dito), la legittima decisione di usufruire del diritto di essere in malattia e la reazione del proprietario del locale che non gradendo questa scelta, dopo settimane di mobbing gli presenta una lettera di licenziamento per “esubero di personale”.
Gli anni che seguirono furono, per lui, una continua ricerca di un posto dignitoso e per me, continui tentativi di sopravvivere a contratti a progetto e ad un senso di profonda frustrazione.
Tentativi che, evidentemente, hanno avuto scarsi risultati.
Perché l’idea di partire e perché Berlino?
Eravamo già stati a Berlino due volte perché il fratello di Andrea ha vissuto lì per un anno e mezzo ed ora è da un anno e mezzo a Brema, rimanendo quindi in Germania.
Affascinati, colpiti, innamorati da questa capitale europea così versatile e diversa da tutto quello che avevamo avuto modo di visitare o vivere fino a quel momento.
E così, quasi per scherzo progetti, idee, pensa se un giorno ci veniamo a vivere davvero… ma gli affetti mi tenevano fermamente ancorata a Roma.
E non solo loro, dopo anni di attivismo politico, senza aver mai militato in un partito ma nonostante questo cercando ogni giorno di capire, combattere, provare a cambiare qualcosa, con le piazze, i movimenti, le contestazioni, l’idea di abbandonare il campo, mi faceva star male.
Ma ormai rimanere in Italia era diventata una sofferenza quotidiana, una lotta quotidiana per la sopravvivenza.
E cosa te ne fai della vicinanza fisica con amici e famiglia quando sei talmente svuotato da non poter dare loro niente di bello?
Abbiamo scelto di provare, abbiamo puntato alla qualità del tempo da trascorrere insieme, piuttosto che alla quantità.
Come state facendo per imparare il Tedesco? Quanto è difficile?
Per ora Andrea non lo sta studiando, lavora in un ristorante in Potsdamer Platz dove tutti parlano anche inglese, se come sembra in inverno il lavoro calerà un po’ ne approfitterà per seguire anche lui un corso.
Io invece seguo un corso intensivo alla Vhs Volkshochschule, la più famosa, conosciuta, popolare ed anche criticata scuola di lingue tedesca.
Il mio corso è strutturato in 5 incontri la settimana, ognuno della durata di quasi 5 ore, una vera e propria scuola che, a mio avviso, può frequentare solo chi non ha un lavoro di molte ore, vista la mole di lavoro che c’è da fare anche a casa.
In 6 mesi si raggiunge il livello di B1 che è il requisito minimo per accedere a qualsiasi posto di lavoro ed anche per iscriversi ad un Ausbildung (un corso di formazione lavorativa) che, probabilmente è quello che vorrò fare dopo.
Con il corso integrativo che sto seguendo io e che al quale possono accedere i cittadini europei, alla fine dei 6 mesi di scuola si sostiene l’esame di livello, superato il quale si riavrà indietro la metà di quanto pagato fino a quel momento e cioè 120 euro al mese, 30 euro in meno rispetto ai 150 al mese che si pagano normalmente.
É difficile? Sì, il tedesco è indiscutibilmente difficile. Ma anche affascinante, ricco, chiaro, per assurdo. Una lingua che difficilmente permette fraintendimenti. Una lingua che non vedo l’ora di poter utilizzare al meglio e che probabilmente necessità di passione per essere conquistata.
Che lavori avete trovato? Quando è stato difficile?
Il nostro piano era trovare subito un lavoro per Andrea, speravamo che come cuoco avesse più possibilità e così è stato.
Con un annuncio messo su Ebay dall’Italia, ha trovato lavoro due giorni dopo il nostro arrivo, lo hanno aspettato, lo hanno voluto, proprio come dovrebbe essere in un mondo giusto.
Ristorante tedesco, contratto regolare. Dopo due anni di tormenti patiti a casa.
Io invece, come da piano, sto dando la priorità allo studio della lingua che, per tutti i lavori che ho sempre svolto e per predisposizione caratteriale, mi è assolutamente indispensabile: non potrei mai pensare di vivere in un posto dove la gente che parla sul bus emette dei borbottii indefiniti.
Per ora arrotondo, ma davvero raramente, con delle pulizie retribuite 12,50 nette l’ora.
Quali sono state le difficoltà emotive dei primi tempi? Come le avete superate?
La prima volta che ho pianto è stato quando mio padre, che insieme a zio ci ha accompagnati in quello che chiamammo il viaggio della speranza, tornò a Roma.
Uno sguardo, una lacrima scorta all’angolo dell’occhio, un occhiale da sole inopportuno indossato solo per difesa, un bacio sulla guancia e via…noi siamo così di famiglia, non ci piacciono i saluti. Ci distruggono anzi.
Non appena si è chiusa la porta mi sono pianta tutte le lacrime che tenevo qui, lacrime di stupore per il passo che davvero avevamo fatto, lacrime di paura per quello che ci stava aspettando, di gioia per avercela fatta.
Lacrime e lacrime.
Ed è stato bello, piangermele tutte.
Ogni giorno è come se mi mancasse una parte ma ogni giorno mi sveglio più felice e serena di quando quella parte era con me.
Si supera pianificando le visite, contando i giorni che mancano al prossimo aereo che ci porterà qui un pezzo di cuore.
Si supera coccolando gli amati cani che sono venuti, naturalmente e non senza difficoltà, con noi.
Primo bilancio del vostro trasferimento?
Assolutamente positivo.
Economicamente parlando stiamo vivendo con un lavoro solo quando fino a giugno, a Roma, sopravvivevamo con due.
Siamo in una città piena di vita, che trasuda storia da ogni centimetro. Un cantiere a cielo aperto, un laboratorio immenso per sperimentare qualsiasi cosa si abbia voglia.
Ci sentiamo gratificati, degni, meritevoli, accolti e compresi.
Abbiamo davanti lo spettro del duro inverno da affrontare ma ci sentiamo assolutamente preparati.
Sono consapevole che Berlino non sia il paradiso, la disoccupazione aumenta, trovare un alloggio è molto difficile.
So anche di persone che ci hanno provato senza farcela così come invece so di persone felicissime e che si sentono molto realizzate ma questo fa parte della vita, immagino.
Che sentimenti provate verso l’Italia?
Sarebbe facile rispondere rancore ma purtroppo non sarebbe neanche così lontano dalla realtà.
Una politica che ho sempre amato verso la quale non riesco più a guardare se non provando dolore.
E non solo nei confronti di chi ha ridotto il paese in quelle condizioni ma anche nei confronti del nuovo che è avanzato per citare un vecchio adagio e che ha ricalcato perfettamente i modelli di quel vecchio che tanto diceva di voler combattere.
Pensare alla politica e alla situazione italiana in generale è sentirsi in un vicolo cielo, è sentirsi soffocare.
É chiedersi, come ho fatto a sopravvivere lì così a lungo?